231, SEQUESTRO PREVENTIVO E RAPPRESENTANTE LEGALE

Credits: Dott.ssa Francesca Lanzetti



Abstract

La Seconda sezione della Corte di Cassazione è tornata sul tema del sequestro preventivo, per poi giungere a ribadire l’incompatibilità della nomina di difensore dell’Ente da parte del rappresentante legale della società, qualora quest'ultimo sia indagato o imputato del reato presupposto. 




La Suprema Corte con sentenza n. 44372/2022 ha confermato il sequestro preventivo, emesso ai sensi dell’art. 321 c. 1 c.p.p., avente ad oggetto il patrimonio della società, le quote sociali ed il compendio aziendale.

Nel caso di specie la Corte ha rilevato come la società fosse responsabile, ai sensi dell’art. 452 quaterdecies c.p. ovvero per il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, il quale delitto è stato ascritto al ricorrente nella sua qualità di rappresentante della società, in concorso con altri, tra cui l’altro rappresentante legale e co – amministratore della società. In particolare, è stato sottolineato come risulta evidente che la commissione del reato fosse finalizzata a conseguire indebiti ricavi derivanti dall’esercizio di attività in tutto o in parte abusive o con la finalità di trarne un risparmio di spesa, elementi questi sufficienti per la configurabilità del requisito dell’interesse o del vantaggio.

Da tale premessa si muove la decisione della Corte. Infatti, la richiesta di riesame relativa al decreto di sequestro preventivo risulta inammissibile in quanto presentata dal difensore dell’ente nominato dal rappresentate indagato nel caso ad oggetto. Gli Ermellini hanno condiviso l’assunto secondo cui in tema di responsabilità da reato degli enti, il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 D.Lgs. 231/2001[1].

Tale questione è già stata affrontata in tempi addietro. È stata giudicata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 39 D.Lgs. 231/2001, sollevata per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui viene impedito all’ente di partecipare al procedimento a suo carico con il proprio rappresentante legale, quando questo è indagato o imputato del reato presupposto la responsabilità dell’ente stesso. È doveroso ricordare che tale divieto è necessario per evitare un ipotetico conflitto di interessi, soprattutto perché è possibile che la difesa dell’ente e del rappresentante legale coincidano, inficiando così sulla stabilità interna della persona giuridica[2].

Inoltre, in merito al sequestro del compendio aziendale la Corte ha sottolineato come “il singolo socio non è legittimato ad impugnare i provvedimenti in materia di sequestro preventivo di beni di proprietà di una società, attesa la carenza di un interesse concreto ed attuale, non valutando egli un diritto alla restituzione della cosa o di parte della somma equivalente al valore delle quote di sua proprietà, quale effetto immediato e diretto del dissequestro.”

In riferimento al sequestro delle quote sociali il cui ricorrente è quota parte titolare, la Cassazione ha ribadito che il Tribunale del Riesame ha fornito una pluralità di elementi di prova sufficienti a “dimostrate il fumus delicti, dello svolgimento da parte della società di un’attività organizzata di gestione illecita di rifiuti.” Infine, “si sono declinati chiari indici della consapevole compartecipazione ad opera del ricorrente nell’attività investigativa.”


[1] “L'ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo.

L'ente che intende partecipare al procedimento si costituisce depositando nella cancelleria dell'autorità giudiziaria procedente una dichiarazione contenente a pena di inammissibilità:

a) la denominazione dell'ente e le generalità del suo legale rappresentante;

b) il nome ed il cognome del difensore e l'indicazione della procura;

c) la sottoscrizione del difensore;

d) la dichiarazione o l'elezione di domicilio.

La procura, conferita nelle forme previste dall'articolo 100, comma 1, del Codice di procedura penale, è depositata nella segreteria del pubblico ministero o nella cancelleria del giudice ovvero è presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di cui al comma 2.

 Quando non compare il legale rappresentante, l'ente costituito è rappresentato dal difensore.” 

[2] Sul punto anche Cass. Pen. Sez. VI n. 41398/2009;


Credits: Dott.ssa Francesca Lanzetti