Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza n. 15942 del 17.04.2024: lo stato di crisi in cui versa l’imprenditore non integra una causa di forza maggiore idonea ad escludere il dolo, ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento IVA

Credits: Avv. Fabrizio Sardella, Dott. Kevin Tagliarini
Il presente contributo si pone la finalità di indagare le ragioni sottese alla pronuncia del Giudice di Legittimità, con cui la Corte disconosce che lo stato di crisi e di insolvenza dell’imprenditore possa integrare una causa di esclusione della colpevolezza, ai fini della configurabilità del reato ex art. 10 ter del D.lgs. n. 74/2000; , infatti, nel momento in cui viene emessa la fattura per operazioni imponibili ai fini IVA, il soggetto passivo è tenuto ad accantonare il Tributo da versare allo Stato, senza possibilità di modificarne la destinazione, ancorché lo stato di crisi o di insolvenza sia
sopraggiunto dopo la presentazione della Dichiarazione IVA


La vicenda in commento trae origine dalla sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Perugia, con cui, in riforma del provvedimento di assoluzione emesso dal Giudice di Prime Cure, l’imputato veniva condannato alla pena di mesi 6 di reclusione, in ordine al reato ex art. 10 ter del D.lgs. n. 74/2000, per non aver versato, nei termini di legge, l’imposta sul valore aggiunto dovuta sulla base della dichiarazione annuale per l’anno 2013, per un ammontare totale pari ad euro 521.594,00 euro.

Avverso tale pronuncia, l’imputato proponeva, a mezzo di suo difensore di fiducia, ricorso per Cassazione articolato in quattro motivi, il cui contenuto verrà, quivi di seguito, riassunto.

Con il primo motivo e il secondo motivo di doglianza, tra loro strettamente correlati, la difesa dell’imputato deduceva la violazione di cui agli artt. 606, comma 1, lettera b) ed e) del Codice di procedura penale, in relazione al punto della sentenza, in cui il Giudice del Gravame aveva ritenuto di ravvisare, nella condotta omissiva posta in essere dall’imprenditore, l’elemento soggettivo del dolo; la Corte d’Appello avrebbe, infatti,  utilizzato argomentazioni su cui fondare la responsabilità penale dell’imputato strettamente riconducibili ad ipotesi di imprudenza o negligenza nell’esercizio dell’attività di impresa e, pertanto, inidonee ai fini della configurabilità del reato ex art. 10 ter del D.lgs. n. 74/2000.

Con il terzo motivo, l’imputato censurava l’omesso riconoscimento della scusante in termini di forza maggiore, atteso che, diversamente da quanto addotto dal Giudice del secondo Grado, il mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto non poteva essere riconducibile ad una scelta consapevole dell’imprenditore, alla luce dello stato di crisi economico – finanziaria che interessava l’Azienda al tempo in cui il delitto fu commesso.

Con il quarto e ultimo motivo, il patrocinante difensore invocava l’assoluta illogicità e manifesta contraddittorietà della sentenza impugnata nella misura in cui, da un lato, la Cote d’Appello di Perugia riteneva sussistente l’elemento soggettivo del dolo, ai fini della configurabilità del reato ascritto all’imputato, per mancanza ab origine delle condizioni economico – patrimoniali onde far fronte al pagamento dell’imposta dichiarata e dovuta, dall’altro, nell’escludere recisamente l’applicabilità della causa di forza maggiore ex art. 45 c.p., statuiva che il dolo debba essere valutato al momento della commissione del reato.

Secondo la tesi difensiva prospettata dall’imputato, infatti, le due affermazioni di cui sopra si pongono in un rapporto di alternatività e, dunque, per come riportate in sentenza, sono evidentemente contradditorie. Delle due, l’una: o il dolo deve essere valutato alla luce del contegno assunto dall’imprenditore nel periodo immediatamente precedente al termine per il versamento dell’imposta e, allora, ben si sarebbe potuto escludere l’intenzionalità della condotta, alla luce delle condizioni di dissesto dell’impresa, oppure, nel momento esatto in cui deve effettuarsi il versamento delle somme dovute a titolo di IVA. Anche nel secondo caso, comunque, in virtù di quanto addotto dal difensore, l’imprenditore sarebbe dovuto essere assolto perché difettava l’elemento soggettivo, posto che il soggetto agente si trovava nell’assoluta impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria, a causa di una crisi finanziaria a lui non imputabile e rispetto alla quale l’imputato aveva cercato di porre rimedio, adottando le misure ritenute idonee e opportune.

Con successiva memoria, la difesa eccepiva, altresì, l’intervenuta estinzione del reato per decorrenza dei termini di prescrizione.

Invero, secondo il Giudice di Legittimità, la Corte territoriale è pervenuta a diverso epilogo di condanna, muovendo i propri passi da una corretta impostazione giuridica dell’elemento soggettivo del reato di omesso versamento IVA.

Chiarita, infatti, la natura istantanea della fattispecie di reato ex art. 10 ter del D.lgs. n. 74/2000, la cui consumazione si verifica allo scadere del termine utile previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, secondo il Supremo Consesso, la prova della sussistenza del dolo è insita nella presentazione della dichiarazione annuale, da cui emerge l’ammontare degli importi dovuti a titolo di imposta e che deve, quindi, essere saldato o, quantomeno, contenuto entro la soglia fissata dalla legge penale.

Tale orientamento si muove entro i confini interpretativi delineati in precedenza  dallo stesso Giudice di Legittimità, secondo il quale il debito verso il fisco è correlato al compimento di operazioni imponibili, atteso che, ogni qual volta il soggetto d’imposta effettui suddette operazioni, riscuote già dall’acquirente del bene o dal fruitore del servizio l’IVA dovuta da accantonare; dunque, l’omesso versamento di somme già destinate alle casse dello Stato e, a tal fine, opportunatamente dichiarate, sarebbe frutto di una scelta consapevole ed intenzionale dell’imprenditore, a prescindere dallo scopo effettivamente perseguito ovvero dal vantaggio che ne è derivato (in questo senso, Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 37424 del 28.03.2003).

Per quanto inerisce, invece, il profilo di esclusione della colpevolezza (nella declinazione di dolo), gli Ermellini hanno ritenuto, ai fini della decisione, di abbracciare un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, affermando che l’inadempimento dell’obbligazione tributaria possa essere attribuito a situazioni di forza maggiore solo e soltanto laddove la stessa derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, in relazione ai quali il soggetto agente non abbia potuto porvi rimedio per cause indipendenti alla propria volontà (così Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza n. 8352/2015 del 24.06.2014).  In particolare, con specifico riferimento allo stato di crisi economico – finanziaria, la rilevanza penale è da escludersi nel caso in cui l’insufficienza della liquidità non sia imputabile all’imprenditore e questi abbia adottato tutte le misure idonee per provvedere alla corresponsione del tributo (ex multis, Corte di cassazione, Sezione III Penale, Sentenza n. 23796 del 21.03.2019).

In virtù di quanto sopra, per quanto inerisce al caso che ci occupa, l’imputato non poteva legittimamente valersi della scriminante ex art. 45 c.p., atteso che la causa di forza maggiore non può essere retroagita rispetto al tempus commissi delicti, laddove il mancato accantonamento delle somme da versare in favore dell’Erario, a titolo di IVA, sia stato determinato da un comportamento consapevole del soggetto agente rispetto la consumazione del reato.

A nulla vale, peraltro, ai fini dell’esclusione della colpevolezza, il fatto che l’imputato avesse destinato le somme accantonate per pagare i dipendenti e gli Istituti previdenziali, invocando, così l’insufficienza di liquidità onde far fronte al debito tributario; suddetta esegesi si pone in stretta correlazione con i principi già enucleati dalla sentenza “Moffa” (Cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 37424 del 28.03.2003), la quale nega la possibilità di mandare assolto l’imprenditore in stato di dissesto, muovendo dal presupposto che le somme da destinare all’Erario dovrebbero essere preventivamente accantonate sulla base delle operazioni imponibili effettuate prima della scadenza del termine per il versamento dell’imposta e rese, così, indisponibili, al fine di adempiere l’obbligazione tributaria, a prescindere dalla consistenza delle risorse economico – patrimoniali e finanziarie dell’impresa.

Ciò nonostante, la Corte ha considerato le doglianze formulate dal ricorrente non manifestamente infondate, tant’è che le argomentazioni difensive hanno portato a due pronunce di segno opposto nell’ambito dei due precedenti giudizi di Merito, dovendo, dunque, rilevare la prescrizione del reato maturata nelle more del giudizio di legittimità.

Un altro aspetto di interesse inerisce alla sanzione accessoria della confisca.

Conseguentemente alla declaratoria di estinzione del reato, infatti, il Supremo Consesso revocava la confisca per equivalente del profitto di reato, mantenendo, tuttavia, la confisca in via diretta.

Tale decisione poggia sulla norma ex art. 578 bis c.p.p., che disciplina i casi e le condizioni, affinché la confisca possa essere mantenuta.

Per quanto concerne l’applicabilità della disposizione su innanzi richiamata in relazione alla confisca ex art. 12 del D.lgs. n. 74/2000, gli Ermellini si rifanno ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui il riferimento “alle altre disposizioni di legge” di cui all’ art. 578 bis c.p.p. evoca le plurime forme di confisca previste dalle leggi penali speciali; il principio è stato ribadito da una  più recente sentenza, con cui il Giudice di Legittimità ha avuto modo di chiarire che l’art. 578 bis c.p.p. non si limita a richiamare la confisca nei “casi particolari di cui all’art. 240 c.p.p.”, ma, altresì, nei casi previsti “da altre disposizioni di legge”. Ciò posto, non potrebbe validamente escludersi l’applicabilità della confisca in relazione ai reati tributari.

La Corte fa, poi, un ulteriore passo, distinguendo l’ambito temporale di applicabilità delle due differenti tipologie di confisca: mentre la confisca per equivalente non è applicabile con efficacia retroattiva rispetto all’entrata in vigore dell’art. 578 bis c.p., deve mantenersi la confisca in via diretta; sul punto, si richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite, le quali hanno affermato che la disposizione in commento ha natura sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione a fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 4145 del 29.09.2022).

In definitiva, il Giudice di legittimità cassava la sentenza impugnata senza rinvio per intervenuta estinzione del reato per decorrenza dei termini di prescrizione, revocava la confisca per equivalente e confermava la confisca in via diretta.


Credits:  Avv. Fabrizio Sardella, Dott. Kevin Tagliarini