La lesione dell’onore della persona giuridica: profili sostanziali e processuali in una recente pronuncia della Corte di Cassazione

Credits: Dott. Alberto Giudici


Abstract. La Sezione V della Corte di cassazione, nella sentenza n. 36931/2023 (ud. 5 giugno 2023, dep. 7 settembre 2023), affronta il tema della legittimazione attiva a proporre querela per il reato di diffamazione commesso nei confronti di un’associazione non riconosciuta, risolvendo una questione apparentemente di mera rilevanza formale, a partire da considerazioni di natura sostanziale relative al bene giuridico tutelato dall’art. 595 c.p.



La condanna nella fase di merito

La pronuncia in commento prende le mosse dal ricorso di un’imputata, condannata in entrambi i precedenti gradi di giudizio per il reato di diffamazione a mezzo stampa, per avere offeso la reputazione dei soci di un circolo di cultura omosessuale di Roma e del circolo stesso, mediante pubblicazioni su Internet (come articoli sul sito da lei gestito e video su YouTube), nelle quali dichiarava di ritenere inaccettabile "[…] che un circolo sovvenzionato con denaro pubblico inneggi a pedofilia, necrofilia e coprofagia […]"; nonché attraverso il rilascio di un’intervista su un quotidiano on line dove affermava: "[…] Posso assumere che tutti gli iscritti provino simpatia per queste pratiche? O che almeno non ne provino nausea? Posso?".

Riconosciuto il vincolo della continuazione, l’imputata veniva condannata, tanto in primo quanto in secondo grado, alla pena di mille euro di multa, oltre al risarcimento del danno con provvisionale di cinquemila euro in favore della parte civile

Il ricorso proposto dalla prevenuta

L’imputata, dunque, proponeva ricorso per cassazione articolato in sei motivi, dei quali i primi due – trattati congiuntamente dalla Corte – contestavano la violazione degli artt. 337, 122 e 529 c.p.p. per il difetto di legittimazione attiva del querelante, in presenza del quale sarebbe venuta meno la condizione di procedibilità del reato.

Per quanto tale effetto sia caratterizzante rispetto alla natura processuale della questione della legittimazione, posto che la carenza di questa preclude al giudice qualsiasi accertamento nel merito della vicenda, la stessa richiede anche una valutazione necessariamente di natura sostanziale rispetto alla titolarità del diritto leso dal reato, ed è proprio sotto tale punto di vista che interviene la Suprema Corte.

Nel primo motivo, in particolare, la ricorrente sosteneva che la querela non fosse stata validamente presentata perché, pur essendo sottoscritta da un soggetto che si qualificava come presidente della persona giuridica, quest’ultimo, tuttavia, non aveva dimostrato tale sua qualità.

Secondo la ricorrente, infatti, il querelante si era limitato ad allegare alla querela un verbale dal quale egli figurava quale come primo fra gli eletti del consiglio direttivo dell'associazione, ma non vi era alcuna individuazione del querelante quale presidente, né era stato allegato alcun atto autorizzativo alla presentazione della querela da parte dei soci. 

Le statuizioni della Suprema Corte

La Suprema Corte ritiene infondata la censura della ricorrente sulla base di due ordini di ragioni.

In primo luogo, ricorda che “[…] la previsione di cui all'art. 337 c.p.p. si limita a richiedere l'indicazione della fonte dei poteri di rappresentanza da parte del soggetto che la presenta” e afferma, quindi, che la legittimazione del querelante è sufficientemente dimostrata dalla sola affermazione della qualità di titolare del potere di querelare in nome e per conto della persona giuridica, a maggior ragione “[…] qualora il querelante si qualifichi come soggetto cui [la rappresentanza della persona giuridica] competa "ex lege" […]”. In tale evenienza, il richiamo alla norma – nel caso di specie, l’art. 33 comma 2 c.c. – individua esaustivamente la fonte del potere.

In definitiva, è solo in caso di dimostrazione dell’infondatezza dell’affermazione di titolarità che ricorre il difetto di legittimazione.

In secondo luogo, gli Ermellini illustrano le conseguenze, in tema di legittimazione, della particolare conformazione che il bene giuridico dell’onore assume in capo ad una persona giuridica. Innanzitutto, ribadisce che “[…] è identificabile per un ente un onore o un decoro collettivo, quale bene morale di tutti gli associati o membri, considerati come unitaria entità, capace di percepire l'offesa […]” e che gli attacchi all’onorabilità dell’ente possono incidere sulla considerazione di cui lo stesso gode nella società.

A ciò, poi, si aggiunge il fatto che “[…] l'attacco alla reputazione dell'ente [può tradursi] in un attacco all'onorabilità dei singoli che ne partecipano […]”  ed è proprio in forza dell’”effetto estensivo dell’offesa” perpetrata con la condotta diffamatoria che il partecipante all’associazione è legittimato alla proposizione della querela, poiché leso a sua volta nell’onore in quanto socio.

I “Giudici del Palazzaccio”, quanto al secondo motivo di ricorso, escludono la violazione dell’art. 337 comma 4 c.p.p., che sarebbe consistita nell’apposizione del timbro di deposito solo sulla procura speciale rilasciata dal querelante al difensore, atto separato dalla querela.

Oltre al rilievo della continuità testuale tra i due documenti, dimostrata anche dalla numerazione progressiva delle pagine, viene applicato il principio già formulato dalle Sezioni Unite per cui “[…] la mancata identificazione del soggetto che presenta la querela non determina l'invalidità dell'atto allorché ne risulti accertata la sicura provenienza […]”: in tal caso, infatti, la portata diffamatoria delle condotte, estesa anche ai singoli soci, avrebbe legittimato il sottoscrittore anche in assenza di un’individuazione della sua qualità di presidente o di mero socio.

Definitivamente pronunciandosi per l’infondatezza del ricorso, la Corte ha specificato, quindi, che, nella stessa situazione di dubbio sull’identificazione del querelante, la successiva costituzione di parte civile è idonea a sanare il vizio, in quanto dimostrativa della provenienza della querela. 

Conclusioni

La pronuncia della Cassazione, alla quale si rimanda per il dettaglio della ricostruzione giurisprudenziale del bene giuridico dell’onore dell’ente collettivo mediante l’indicazione di precedenti nazionali e sovranazionali, si apprezza, infine, per la prevalenza della sostanza sulla forma: confermando, infatti, la sufficienza dell’affermazione della qualità di legittimato alla querela, la Suprema Corte respinge, da un lato, un’impostazione formale –potenzialmente di ostacolo– all’esercizio del diritto di querela, senza, dall’altro lato, escludere la prova contraria del vizio di legittimazione, in tal modo evitando un abuso del diritto da parte di soggetti estranei alla lesione subita dall’ente.


Credits: Dott. Alberto Giudici