La confisca di cui all’art. 12 bis D.Lgs. N. 74/2000 all’esame della cassazione: l’obbligatorietà ed il concetto di prezzo del reato in ipotesi di emissione di fatture inesistenti

Credits: Avv. Giuseppe Taddeo; Dott.ssa Francesca Lanzetti


Abstract:

La Cassazione in una recentissima pronuncia fa il punto sulla confisca penal-tributaria e sull’obbligatorietà dell’applicazione dell’istituto ablatorio ai casi previsti dal D.Lgs. n.74/2000, non lesinando un’ulteriore considerazione con riferimento al quantum confiscabile, che nel caso di specie sarebbe il prezzo del reato incamerato dal reo per favorire un terzo.



La Corte di Cassazione, con sentenza n. 14972/2022, si è espressa sul tema della confisca in tema di reati tributari.

La confisca penal – tributaria è disciplinata dall’art. 12 bis del D.Lgs. 74/2000[1], ed è prevista sia nella forma diretta che per equivalente.

Più precisamente, la norma prevede, per il caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, ex. art. 444 c.p.p., la confisca obbligatoria dei beni che costituiscono profitto o prezzo del reato, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Nel caso in cui non fosse possibile optare per la confisca diretta del prezzo o profitto del reato, la norma dispone la cosiddetta confisca per equivalente: la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo o profitto del reato per il quale quest’ultimo è imputato.

Nel caso in cui il contribuente versi all’Erario una parte dell’imposta evasa, la confisca non trova applicazione per quanto versato all’Amministrazione Finanziaria, anche in presenza di sequestro[2].

In tema di confisca di cui all’art. 12 bis del D.Lgs. n. 74/2000, sono fondamentali le definizioni di “prezzo” e “profitto” del reato.

Il prezzo consiste “nel compenso dato o promesso ad una determinata persona, come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito”. Mentre il concetto di profitto è individuabile come il vantaggio patrimoniale derivante dalla commissione del reato, il quale può consistere anche in un risparmio di spesa.

Nella sentenza oggetto di disamina, il titolo di reato contestato all’imputato è stato l’art. 8 del D.Lgs. 74/2000 poiché il prevenuto avrebbe rilasciato fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire, ad un soggetto terzo, l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

La vicenda processuale si è conclusa con l’applicazione della pena, concordata ai sensi dell’art. 444 e ss. c.p.p., di mesi otto e giorni sette di reclusione.

Pur vertendo in tema di “patteggiamento”, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello ha proposto ricorso per Cassazione[3], poiché il Giudice di primo grado non aveva disposto la confisca nei confronti del profitto o prezzo del reato, pur trattandosi di un titolo di reato per il quale il legislatore ha previsto l’applicazione obbligatoria dell’istituto della confisca.

 Infatti, egli argomenta che sebbene il reato oggetto di contestazione non contempli, per chi emette fatture false, un vantaggio di tipo fiscale, nella prassi tale comportamento genera un compenso versato da chi abbia beneficiato delle suddette fatture.

In sostanza, il Procuratore Generale lamenta la mancata disposizione della misura (o comunque la mancanza di motivazione sul punto) della confisca da parte del Giudice di prime cure che, anche nel caso in cui il profitto non sia determinabile, deve necessariamente  accompagnare la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, poiché prevista obbligatoriamente dal legislatore.

Investiti della questione nei termini sopra esposti, gli Ermellini hanno statuito che l’omessa pronuncia sulla misura ablativa prevista obbligatoriamente dal legislatore per il reato di cui all’art. 8 del D.Lgs. 74/2000configura una pena difforme dal modello legale in quanto non risulta che “il Giudice che emetta una sentenza di patteggiamento sia vincolato dall’accordo inter partes a fronte di una statuizione sottratta alla sfera di disponibilità delle parti e che non afferisce all’accordo negoziale concluso dalle medesime”.

Più in dettaglio, non sarebbe rimessa alla libera disponibilità del Giudice la valutazione sull’applicazione dell’istituto ablativo previsto come obbligatorio dal legislatore anche allorquando non si riesca ad individuare un profitto ben determinabile: se è vero che solo l’utilizzatore delle fatture relative ad operazioni inesistenti ottiene un profitto pari al risparmio di imposta (identificabile come “vantaggio fiscale”), è anche altrettanto vero che il “reato di cui all’art. 8 D.Lgs. 74/2000, proprio perché finalizzato a consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, implica, di norma l’incameramento da parte del suo autore di un compreso, quand’anche inferiore al profitto, ovverosia al risparmio di imposta, conseguito dall’utilizzatore delle fatture ideologicamente false, corrispondente al prezzo del reato medesimo.”

Ne discende il principio che, pur in assenza di un vantaggio fiscale da individuare come profitto strictu sensu, non è rimesso al Giudice il libero apprezzamento circa un istituto obbligatorio quale quello della confisca penal-tributaria.

Ad ogni modo, i Giudici del Palazzaccio ritengono che vi sia, anche nell’ipotesi di cui all’art. 8 D.Lgs. n.74/2000, l’incameramento da parte del reo di un compenso per la propria attività favorevole ad un soggetto terzo (anche inferiore al profitto) da considerare quale prezzo del reato medesimo e dunque assoggettabile alla confisca.

Seguendo questo tipo di ragionamento, i Giudici della Suprema Corte hanno annullato la Sentenza impugnata (limitatamente al punto concernente la confisca), poiché il Giudice di Prime cure non ha disposto o argomentato nulla con riferimento all’istituto obbligatorio della confisca di cui all’art. 12 bis D.Lgs. n.74/2000, né ha evidenziato ragioni che imponessero l’esclusione della misura ablatoria al caso di specie.


Credits:  Avv. Giuseppe Taddeo; Dott.ssa Francesca Lanzetti

 



[1]Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.

 La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta.”

 


[2] Cass. Civ. Sez. I n. 24326/2020.


[3] Sul punto la Cassazione ricorda che “il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per Cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza (…)”. A fronte di ciò, il ricorso proposto può ritenersi ricompreso nella nozione di illegalità della pena.