La Corte di Cassazione è ritornata sui requisiti della figura dell’amministratore di fatto

Credits: Dott.ssa Francesca Lanzetti 

Abstract: Con sentenza n. 34381/2022 la Seconda Sezione della Corte di Cassazione si è occupata della definizione di amministratore di fatto.

La sentenza in questione, depositata il 16.09.2022, ha individuato gli elementi essenziali per identificare l’amministratore di fatto nell’ipotesi di reati tributari. Nel caso di specie il Tribunale di Milano ha disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari per i reati previsti dagli art. 512 bis c.p. e art. 8 D.Lgs. 74/2000. Sul punto, l’indagato ricorreva in Cassazione deducendo la mancanza di qualifica di amministratore di fatto e la mancanza di esigenze cautelari per l’applicazione degli arresti domiciliari.



Preliminarmente, i giudici hanno richiamato quanto disposto dall’art. 2639 c.c.[1], il quale stabilisce che per i reati societari previsti dal codice civile, il soggetto che riveste una qualifica di fatto è colui che esercita in modo significativo e continuativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o funzione del soggetto di diritto. Tale disposizione postula due parametri: il primo di tipo qualitativo e il secondo di tipo quantitativo – temporale. La significatività sottende la necessità che il soggetto di fatto eserciti poteri tipici coerenti con la funzione, invece la continuatività esclude l’attività episodica e occasionale, ritenendo necessaria una condotta protratta nel tempo e l’inserimento del soggetto stesso all’interno dell’organico. In merito a ciò, il Tribunale ha evidenziato come l’indagato fosse a conoscenza, quindi consapevole, di chi fossero i reali referenti e amministratori della società, ma non solo, ha riconosciuto, in capo all’indagato, il ruolo di amministratore di fatto in quanto “consapevole organizzatore di peculiari modalità operative della società in termini illeciti.” Ma non solo, a carico dell’indagato sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ad entrambi i reati attribuiti, ex. art. 110 c.p., ovvero in qualità di soggetto concorrente pienamente consapevole della riconducibilità della società ad altri, nonché dell’elemento soggettivo che la norma prescrive in quanto aveva contezza dell’attività che i correi svolgevano, alle quali ha anche contribuito, nonché all’intestazione fittizia della società.

A tal proposito, la prova della posizione di fatto è possibile rinvenirla “nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale, disciplinare – il quale costituisce oggetto di valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua motivazione.”  Alla luce di ciò, significatività e continuatività non implicano l’esercizio di tutti i poteri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in maniera non episodica od occasionale.

Successivamente, la Corte affronta la questione dei reati fallimentari. Essa accoglie la tesi estensiva ovvero ritiene applicabile la disposizione del codice civile anche nell’ambito penale – fallimentare[2]. Pertanto, i criteri qualitativi e quantitativi sono considerati come parametri generali estendibili a più settori. In particolare, è opportuno fare una valutazione sulle concrete funzioni esercitate e agli atti posti in essere come conseguenza dalla qualifica ricoperta. Aderendo all’orientamento secondo cui l’art. 2639 c.c. sia un principio generale la medesima disposizione risulta applicabile anche nel campo tributario. Orbene, la Corte sottolinea come “ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto occorre il ricorrere dei medesimi requisiti, ovvero essenzialmente l’esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati.”



[1]Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.

Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni alla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi.”


[2] La tesi restrittiva, ad oggi minoritaria, faceva leva su una interpretazione tassativa ritenendo applicabile la disposizione del codice civile solo alla materia penale societaria. Questa dottrina abbraccia il cd criterio funzionale, in virtù del quale assume valore solo la concreta funzione svolta dall’agente. Ad esempio, il D.Lgs. 231/2001 che stabilisce che “l’ente è responsabile dei reati commessi nel suo interesse o nel suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso.” E. Amati N. Mazzacuva – diritto penale dell’economia (ed. III) CEDAM – p. 9.


Credits: Dott.ssa Francesca Lanzetti