La Corte di Cassazione torna ad occuparsi del captatore informatico (c.d. trojan) e della sua utilizzabilità quando l’intercettato si rechi all’estero



ABSTRACT

Facendo seguito al precedente articolo si conferma che il c.d. trojan sia uno strumento dalla grande pervasività per il quale il Legislatore ha introdotto una disciplina piuttosto scarna. L’interprete è, così, chiamato a non perdere d’occhio gli arresti giurisprudenziali più importanti in materia per avere piena contezza dei limiti posti allo strumento adottato dalle Procure della Repubblica. Il commento si focalizza sulla pronuncia della Suprema Corte di Cassazione in materia, con particolare riguardo alla possibilità di estendere la captazione nel Paese straniero, ove si sia recato l’indagato.



Il caso

La pronuncia[1] riguarda un’indagine nei confronti di un soggetto appartenente ad un sodalizio criminale di stampo mafioso, definito come “società di Siderno”, nella quale era stato disposto l’uso del captatore informatico per acquisire determinate informazioni.

Nello specifico il software utilizzato dalla Procura della Repubblica aveva intercettato alcune conversazioni, avvenute in Canada, da parte dell’indagato.

Più precisamente, l’incontro era finalizzato a comunicare alle articolazioni locali dell’organizzazione criminale le strategie e le decisioni dei vertici italiani dell’associazione.

L’esito investigativo aveva, poi, portato all’adozione di una misura di custodia cautelare in carcere, disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria con un’imputazione per associazione per delinquere di stampo mafioso, con l’aggravante di aver commesso il fatto in ambito transazionale.

Il giudizio di riesame e la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione

L’indagato ricorreva contro il provvedimento di restrizione della libertà personale, ottenendo il rigetto delle doglianze da parte del Tribunale del riesame.

Seguiva dunque il ricorso al Giudice di legittimità avanti al quale venivano sollevati diversi aspetti di criticità sul provvedimento impugnato.

Senza approfondire tutte le doglianze sollevate dal ricorrente[2], il presente contributo si concentrerà prevalentemente sui principi giuridici che influiscono direttamente sull’effettiva capacità intrusiva del c.d. “trojan”.

La Corte di cassazione, infatti, pur rilevando che l’intercettazione delle conversazioni fosse occorsa in Canada alla presenza di diversi soggetti, ha stabilito che la stessa fosse stata effettuata da un trojan inoculato su due smartphone con utenza italiana.

In proposito, poi, la Suprema Corte di Cassazione ha fornito un’ulteriore riflessione sul funzionamento tecnico del captatore informatico precisando che l’installazione del software sugli smartphone sia solo una parte dell’infrastruttura tecnologica impiegata per le intercettazioni.

Difatti, i dati trasmessi dal software devono essere sottoposti ad una fase di decriptazione prima della conclusiva memorizzazione all’interno del server della Procura della Repubblica.

Il luogo di ubicazione del predetto server, insieme all’utenza telefonica del soggetto intercettato, sono quindi dirimenti per affermare la legittimità delle intercettazioni effettuate con il captatore informatico.

Oltre a quanto sopra, però, la Corte di Cassazione ha sancito anche un altro principio di diritto.

Dovendo prendere posizione sulle doglianze mosse dal ricorrente, il Collegio ha poi escluso che per un procedimento di acquisizione della prova oltreoceano fosse necessario procedere ai sensi degli artt. 727 c.p.p. e ss. ovverosia con un procedimento di rogatoria internazionale.

Lo strumento della rogatoria internazionale è necessario, infatti, solo quando il compimento di un atto di indagine richieda il coinvolgimento della sovranità territoriale di un altro stato.

Sul punto, peraltro, non è mancato un precedente che ha affermato lo stesso principio per il diverso caso di un’intercettazione tra persone presenti operata con la collocazione di microspie all’interno di una vettura che si sia recata anche all’estero[3].

La pronuncia si pone dunque sullo stesso indirizzo giurisprudenziale già tracciato da sentenze precedenti.

I possibili sviluppi futuri, alla luce di diverse direttive comunitarie

Gli arresti sino a qui esaminati non esauriscono certo l’argomento, di grande attualità, e per questo interessato da diverse novità normative in ambito comunitario.

In primis, occorre richiamare la Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000 e recepita in Italia con il D.lgs. n. 52 del 05 aprile del 2017.

In secondo luogo, è rilevante l’operatività del D.lgs. n. 108 del 21 giugno 2017 che ha recepito la Direttiva Comunitaria n. 41 del 2014.

Sul punto, basti puntualizzare che l’art. 43 comma 3 del D.lgs. n. 108 del 2017 attribuisce all’autorità giudiziaria del paese estero il potere di disporre degli atti investigativi richiesti dal Pubblico Ministero italiano.

Il principio di cui sopra potrebbe, quindi, portare la giurisprudenza a rivedere l’indirizzo affermato con la pronuncia in commento.

Credits:
Avv. Riccardo Dimiziani
Associate
Attorney 231/2001 Compliance


[1] Cass.ne Penale Sez. II n. 29362 del 22 luglio 2020 (dep. 22 ottobre 2020);

[2] In particolare, il ricorrente contestava l’omesso esame analitico del contenuto delle intercettazioni che a suo dire non avrebbe consentito un’effettiva verifica dell’identità dei presenti; oltre a ciò veniva contestato l’apodittico riconoscimento della sussistenza delle esigenze cautelari del provvedimento e, in ultimo, le intercettazioni effettuate non sarebbero state correttamente presidiate dalla magistratura requirente;

[3] Cass. Pen. Sez. II n. 51034 del 04 novembre 2016.