Basta il braccino corto per configurare il reato di maltrattamenti in famiglia?

Credits: Avv. Giuseppe Mangiameli


ABSTRACTLa Corte di Cassazione torna sul reato di maltrattamenti in famiglia con una decisione innovativa nell’ottica di un rafforzamento della tutela dei diritti della persona all’interno del nucleo familiare. Prendendo le mosse dal dovere di solidarietà coniugale ex art. 143 c.p. conclude per la sussistenza della condotta maltrattante di cui all’art. 572 c.p. allorquando il pervasivo ed ossessivo controllo sul risparmio domestico sia espressione di un rapporto familiare squilibrato, oppressivo e mortificante.



Con la decisione in commento,  la Sesta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione (sezione VI, sentenza 17 febbraio 2023, n. 6937) compie un deciso passo in avanti nell’interpretazione del reato di maltrattamenti in famiglia, nell’ottica di un rafforzamento della tutela dei diritti della persona all’interno del nucleo familiare.

Richiamando il principio di solidarietà tra coniugi di cui all’art. 143 c.c. e modulandolo sulla condotta maltrattante così come descritta dall’art. 572 c.p., il decisum investe alcuni dei principi cardine del diritto penale, da quello di tipicità a quello di divieto di analogia, e potrebbe inaugurare un nuovo trend nell’ambito dell’interpretazione delle norme penali - a condotta libera - connotate da una evidente genericità linguistica.

Nel caso di specie, i due gradi di giudizio avevano descritto un rapporto coniugale, non solo violento e lesivo dell’incolumità individuale nella sua dimensione fisica[1], ma altresì altamente denigratorio, oppressivo e lesivo della dignità personale. E, soprattutto, squilibrato secondo i canoni di cui al citato art. 143 c.c. Ed è su tale precipitato giuridico che la Corte di Cassazione fonda le proprie argomentazioni per sconfessare la tesi difensiva, basata – di fatto – sulla presunta violazione del principio di tipicità.

Secondo il ricorrente, infatti, il “risparmio domestico”, sul quale si sarebbe fondata l’intera decisione esulerebbe dal penalmente rilevante, in particolare dalla condotta tipica descritta dalla norma.

La lettura della decisione qui in commento permette di comprendere che il tema qui affrontato non concerne esclusivamente ed in senso assoluto il risparmio domestico, che secondo la Corte può essere “anche rigoroso e non necessitato” ma solo allorquando questo sia condiviso e non imposto.

La Corte si sofferma, invero, su alcune modalità impositive e costrittive[2] (in violazione del principio di solidarietà) che connotavano la vita domestica persona offesa, ivi comprese le più intime e personali cure come, ad esempio, “l’utilizzo di una bacinella per lavarsi il viso o per fare la doccia, che poteva fare solo una volta a settimana”; ovvero l’obbligo di riutilizzare i tovaglioli usati o esclusivamente una sola posata per pasto.

Quello emerso nel processo, secondo le corti di merito, era un contesto endofamiliare di “estrema sudditanza imposta dal coniuge”, nel quale i comportamenti “inutilmente vessatori protrattisi per anni” sono stati sussunti nel reato di maltrattamenti poiché le condotte seriali tenute rappresentavano non altro che “un comportamento impositivo del proprio volere realizzato sia con atti o parole che offendono il decoro e la dignità della persona, “tesi a sminuire la persona offesa sia come donna, come madre e come medico”, avendo descritto “un sistema di vere e proprie proibizioni capaci di produrre sensazioni dolorose ancorché tali da non lasciare traccia e che si sono risolte in un sistema di sofferenze lesivo del patrimonio morale del soggetto passivo e che hanno reso abitualmente dolorose le relazioni familiari determinando uno stato di avvilimento e frustrazione.”

La sentenza è certamente innovativa e non si registrano precedenti arresti conformi con particolare riferimento al “risparmio domestico”, sebbene nella sostanza rappresenti una ulteriore, diversa e, forse, più attuale forma di tutela a difesa dei diritti individuali avverso condotte destabilizzanti reiterate nel tempo capaci di mortificare i contesti familiari e di ingenerare uno stato di prostrazione e annichilimento della persona.


Credits: Avv. Giuseppe Mangiameli
Associate
Attorney Criminal Law

[1] L’imputazione comprendeva, altresì, il reato di lesioni ex artt. 582 e 585 c.p.

[2] Oltre a quelle violente come lo scuotimento, allo strattonamento o a quelle denigratorie come gli epiteti, gli insulti e le urla.