Considerazioni sul traffico di influenze illecite: le difficoltà applicative di una fattispecie che consente (solo) interpretazioni rigorose. Nota alla sentenza della Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione n. 1182/2022 del 13/01/2022.

Credits:  Avv. Fabrizio Sardella, Dott.ssa Francesca Lanzetti

ABSTRACT

L’intermediazione per la fornitura di mascherine (non conformi) alla struttura commissariale non è ictu oculi illecita La Suprema Corte annulla il sequestro preventivo. 



Con la sentenza n. 1182 del 14 ottobre 2021, depositata il 13 gennaio 2022, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha annullato la misura cautelare del sequestro preventivo affermando che, gli indizi per contestare il reato di traffico di influenze illecite, ex. art. 346 bis c.p., non fossero sufficienti.  

L’oggetto dell’impugnazione è il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni dell’indagata, in particolare dei «saldi attivi esistenti sui rapporti finanziari e/o bancari».

Il reato contestato è il traffico di influenze illecite realizzato dal mediatore non autorizzato che, nel caso concreto, avrebbe intermediato con la struttura commissariale pubblica l’acquisto di mascherine di protezione parzialmente non coerenti rispetto ai requisiti richiesti. La fornitura era di elevato valore totale (circa un miliardo di euro) ed erano state riconosciute circa settanta milioni di provvigioni agli intermediari, pagate direttamente dai produttori cinesi delle mascherine.

Nel caso di specie gli ermellini non ritengono provato il fumus del reato. In particolare, la ricerca “diretta” di mascherine da parte di un soggetto privato, incaricato dal Commissario straordinario per l’emergenza Covid - 19, in un momento di grave pandemia globale e la mancanza di una gara pubblica risulta totalmente legittimo in virtù delle norme in vigore in quel travagliato periodo storico, le quali derogavano all’obbligo di pubblicazione del bando di gara. Inoltre, i Giudici di legittimità affermano che l’attività di intermediazione svolta dietro corrispettivo, in linea di principio, può essere sinonimo di una prestazione lecita e che il reato previsto dall’art. 346 bis c.p. non può essere desunto in re ipsa dalla relazione personale – preesistente o potenziale - con il soggetto pubblico. La Corte aggiunge anche che non «può assumere decisivo rilievo, ai fini della connotazione di illiceità, la mera circostanza che il contratto tra il committente e venditore presenti delle difformità dal tipo legale, presenti cioè profili di illegittimità negoziale, tenuto conto peraltro che il riferimento alla mediazione, contenuto nell’art. 346 bis cod. pen., non deve essere inteso esclusivamente riferito al contratto tipico di mediazione disciplinato dagli artt. 1754 e ss. cod. civ., ma, più in generale, a quel sistema di rapporti, che, pur non essendo riconducibili tecnicamente al contratto in questione, si caratterizzano nondimeno per la presenza di “procacciatori d’affari” ovvero per mere “relazioni informali” fondate su opacità diffuse, da scarsa trasparenza, da aderenze difficilmente classificabili».

Pertanto, per contestare il reato di traffico di influenze illecite è necessario dimostrare l’illecita influenza rispetto al soggetto pubblico ovvero «la mediazione è illecita se è volta alla commissione di un illecito penale – di un reato - idoneo a produrre vantaggi al committente.» Sul piano probatorio deve essere svolto un accertamento rispetto alle «aspettative specifiche del committente, cioè il movente della condotta del privato compratore, il senso, la portata ed il tempo della pretesa di questi, la condotta in concreto che il mediatore assume di dover compiere con il pubblico agente, il rapporto di proporzione tra il prezzo della mediazione ed il risultato che intende perseguire, i profili relativi alla illegittimità negoziale del contratto.» Valutazioni, queste ultime, che il Tribunale di Roma non aveva condotto adeguatamente.

In definitiva, l’arresto offre una delle prime applicazioni del reato di cui all’art. 346 bis c.p. e si mettono in mostra, sin d’ora, le difficoltà applicative di questa norma che, correttamente, la Corte di Cassazione legge in maniera rigorosa per evitarne un’applicazione contrastante con il principio di tassatività della Legge penale.        


Credits: 

Avv. Fabrizio Sardella
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