Corte di Cassazione, sezione v, sentenza n. 3211 del 26 gennaio 2024: confermata l’inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente.

Credits: Avv. Fabrizio Sardella, Dott. Kevin Tagliarini

La sentenza n 3211 del 2024 contiene molti spunti d’interesse. Qui, in particolare, si approfondirà la posizione ermeneutica della Suprema Corte, che ha confermato l’inammissibilità della costituzione di parte civile della persona offesa da reato nei confronti dell’Ente. A giudizio degli Ermellini, l’assenza di un richiamo specifico all’istituto contemplato dal Codice di rito all’interno del D. Lgs. n. 231/2001 non è una lacuna normativa, bensì frutto di una scelta consapevole del Legislatore.



La Corte di Cassazione torna ad occuparsi della possibilità di costituirsi parte civile nei confronti
dell’ente che ha commesso un illecito rilevante ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 (Decreto). La sezione V della Corte, nell’interessante sentenza n. 3211/2024, ha – tra l’altro - ritenuto fondato il motivo di ricorso presentato dall’Ente avverso le statuizioni civili della sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Trieste. A giudizio del Supremo consesso, l’assenza di uno specifico richiamo all’Istituto ex art. 74 c.p.p., puntualmente disciplinato dal Codice di rito, all’interno della disciplina contenuta nel Decreto, deve ritenersi non già una svista del Legislatore, bensì una scelta consapevole e ragionata del medesimo.

Ecco il percorso argomentativo che il giudice di legittimità non perde occasione per consolidare. È un dato di fatto che, letteralmente, il Decreto non faccia mai espresso riferimento alla persona offesa da reato o alla parte civile: ciò deve indurre a ritenere che il Legislatore scientemente abbia fatto sì che operasse una deroga rispetto alla regolamentazione del codice di procedura penale.

L’esegesi è suffragata dall’ulteriore considerazione che, sul piano sistematico, l’illecito amministrativo ascrivibile all’Ente non coincide con il reato, ma è una fattispecie di illecito ibrida; che presuppone il reato medesimo, non lo include. Il reato, infatti, è la condotta umana riferita alla persona fisica, mentre l’illecito dell’ente sussiste per la carenza di organizzazione necessaria a contenere il rischio di verificazione di tale comportamento umano rilevante penalmente. Cosicché è da escludere recisamente la possibilità di far applicazione dei principi ex art. 185 c.p. e 74 c.p.p., i quali si riferiscono, espressamente, al reato inteso come comportamento umano (in tal senso Corte di cassazione, Sesta Sezione Penale, sentenza n. 2251 del 05.10.2010).

Si muove in senso conforme una più recente sentenza del Giudice di Legittimità, il quale è pervenuto ad escludere l’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’Ente per il semplice fatto che non pare individuabile un’ulteriore e diversa ipotesi di danno rispetto a quello derivante da reato (Corte di cassazione, Sezione Quarta Penale, Sentenza n. 30175 del 12.07.2023).

Per quanto d’interesse in questa sede, un ulteriore argomento su cui si fonda l’orientamento della Suprema Corte, che propende per l’inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’Ente, si desume dalla disposizione ex art. 27 del D.lgs. n. 231/2001, la quale limita la responsabilità patrimoniale dell’Ente all’obbligazione di pagamento della sanzione pecuniaria, senza, tuttavia, fare espresso riferimento alle obbligazioni civili.

E ancora, l’art. 54 del D.lgs. n. 231/2001, il quale, derogando espressamente alle finalità del sequestro conservativo ex art. 316 c.p.p., statuisce che la misura cautelare reale venga applicata nei confronti dell’Ente per il sol scopo di garantire il pagamento della sanzione pecuniaria, senza, anche in questa ipotesi, fare riferimento alcuno alle obbligazioni civili.

Da ultimo, le disposizioni ex artt. 12 e 17 del D. Lgs. n. 231/2001, che consentono all’Ente di ottenere l’esclusione ovvero la riduzione delle pene pecuniarie e interdittive, nel caso in cui l’Ente abbia risarcito il danno, non fanno riferimento ad un danno diverso da quello derivante da reato, escludendo, così, la possibilità che si configuri in capo alla persona offesa da reato una pretesa risarcitoria specifica, in funzione della commissione dell’illecito amministrativo da parte dell’Ente.

Da ultimo, l’art. 19 del D. Lgs. 231/2001, nella misura in cui prevede la riduzione della confisca in relazione alla parte di profitto che può essere restituita al danneggiato, fa espresso riferimento al danno derivante da reato e non a quello derivante dall’illecito amministrativo.

Alla luce di quanto sopra, non potendosi configurare un’ipotesi di danno risarcibile derivante dalla commissione dell’illecito amministrativo da parte dell’Ente, la costituzione di parte civile, nell’ambito di un procedimento che tende all’accertamento di un illecito, che, dogmaticamente, pare improduttivo di danni diretti, immediati ed ulteriori rispetto a quelli prodotti da reato, si tradurrebbe in una pratica priva di significato, inutilmente gravosa per il processo penale.

Non convince l’orientamento di senso contrario fatto proprio da alcuni Giudici di merito, secondo cui  la costituzione di parte civile nei confronti dell’Ente, onde ottenere equo ristoro dei danni patiti, è assolutamente ammissibile, proprio in forza del richiamo all’art. 12 del D.lgs. n. 231/2001, nell’ipotesi in cui l’Ente, prima dell’apertura del dibattimento, abbia risarcito integramente il danno ed eliminato le conseguenze dannose e pericolose derivanti da reato o, comunque, si sia adoperato in tal senso (così Tribunale di Trani, Ordinanza del 7 maggio 2019).

E ancora, l’orientamento di segno opposto si fonderebbe sulla circostanza che è lo stesso Decreto, all’art. 17, a prevedere la figura del “danneggiato” da reato, facendo salva, così, la facoltà di questi di costituirsi parte civile, onde ottenere il ristoro del danno patito.

Ora, il difetto di specifica menzione alla persona offesa in tutte le disposizioni del Decreto, che i giudici di merito richiamano ai fini di rinsaldare la tesi che propende per l’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’Ente, è tutt’altro che casuale. Secondo l’ormai consolidato orientamento del Giudice di Legittimità, in virtù del citato ragionamento incisivo, ubi lex vòluit dìxit, ubi nòluit tàcuit. Se, infatti, il giudice ammettesse la costituzione di parte civile anche nei confronti dell’Ente, si determinerebbe l’illogico effetto di garantire alla persona offesa da reato un doppio vantaggio, potendo la stessa vedersi risarcire doppiamente una sola ipotesi di danno contemplata dal Legislatore, ovverosia il danno derivante da reato.

Siffatta soluzione determinerebbe una violazione del più generale principio su cui si fondano le disposizioni civilistiche in materia di risarcimento del danno extracontrattuale, richiamate puntualmente dall’ art. 185 c.p., in virtù del quale il danneggiato non può conseguire un risultato più favorevole di quello che avrebbe conseguito se l’illecito e, quindi, il danno che da esso deriva non si fosse verificato.

In definitiva, se la costituzione di parte civile fosse ammissibile anche nei confronti dell’Ente imputato, il danneggiato potrebbe vedersi liquidare due volte il risarcimento per la medesima fattispecie di danno e ciò, se ne convenga, non è possibile.


Credits: Avv. Fabrizio Sardella, Dott. Kevin Tagliarini