Emergenza COVID- 19: Necessità di aggiornamento del documento di valutazione dei rischi ex art. 28 Testo Unico Sicurezza (D.lgs 81/2008 s.s.m.m.i.i.)
L’emergenza COVID – 19 ha imposto una riorganizzazione complessiva del lavoro, l’adozione di misure a tutela dei lavoratori. Ci si è posti l’interrogativo circa la necessità di aggiornare il DVR aziendale. Si ritiene non obbligatorio laddove il rischio in questione non scaturisca direttamente dalla prestazione di lavoro.
Si sa: i problemi non vengono mai da soli.
L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del virus COVID–19 ha obbligato le imprese, oltre a far fronte a situazioni di criticità riguardo i profili di produttività, a comprendere quali fossero le azioni da porre in essere sul piano operativo e anche sul piano di conformità legislativa, al fine di tutelare il proprio personale.
Il Governo, con una serie di provvedimenti tra cui il Decreto legge 25 marzo 2020 n. 19, i D.P.C.M. del 4, 9 e 11 marzo 2020 e, da ultimo, il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro dello scorso 14 marzo, ha dato regole ed indicazioni su come, laddove possibile, continuare l’attività aziendale attuando misure di protezione per quei lavoratori impossibilitati a lavorare da casa o tramite modalità agile, ormai noto come smart working.
È stato, quindi, chiesto a ciascun Datore di Lavoro di mettere in atto, per quelle attività che possono continuare ad operare, una riorganizzazione complessiva del lavoro.
Tuttavia, tali provvedimenti non hanno chiarito alcuni aspetti, prima facie più formali, ma, altrettanto, di indubbia importanza, come la necessità a carico del Datore di Lavoro di provvedere all’aggiornamento del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) della propria azienda.
La questione è tutt’ora dibattuta, tra chi sostiene che si debba provvedere all’aggiornamento del DVR, anche per la posizione di garanzia assunta dal Datore di Lavoro ex art. 2087 c.c. e chi, invece, ritiene il rischio da COVID-19 non strettamente correlato ad una specifica attività lavorativa e, quindi, non necessario l’aggiornamento in questione, ad eccezione di quelle attività dove il rischio di infezione sia oggetto della specifica attività (es. attività medica, dei laboratori, etc.).
Se in un primo momento può sembrare automatico rispondere affermativamente adottando un atteggiamento forse più garantista nei confronti della figura del lavoratore, dall’altro lato il tema necessita un approfondimento più critico mirato alla funzione del documento in questione, il DVR e lo scopo che lo stesso mira a perseguire.
La redazione del DVR sappiamo essere uno di quei compiti non delegabili spettanti al Datore di Lavoro (naturalmente supportato da un eventuale consulente esperto), come indicato dal D. Lgs. 81/2008, c.d. Testo Unico Sicurezza, precisamente ai sensi dell’art. 17. L’art. 28 del D.lgs 81/2008 chiarisce, poi, l’oggetto di tale valutazione. Dalla lettura dell’art. 28, che si intende richiamato, si legge che il Datore di Lavoro deve valutare tutti i rischi, compresi quelli biologici, per la salute e sicurezza dei lavoratori anche con riferimento ad alcune particolari categorie ritenute più a rischio, scaturenti dalla prestazione di lavoro. La valutazione del rischio a carico del Datore di Lavoro è, quindi, strettamente connessa allo svolgimento di una specifica attività lavorativa. Il lavoro, in sé e per sé considerato, deve essere esaminato come causa di un rischio e non occasione di rischio.
La pandemia del COVID-19 è senza dubbio un’emergenza, da inquadrarsi nell’ambito del rischio biologico inteso nel senso più ampio del termine.
È altrettanto indubbio, però, che tale rischio interessa l’intera popolazione e non riguarda un rischio lavorativo specifico di ciascuna attività. Il DVR mira, una volta effettuata la valutazione dei rischi, a far si che il Datore di Lavoro implementi misure ed azioni a contenimento di quel rischio.
Nella situazione che ci occupa sappiamo che il virus in questione non è riconducibile ad un’attività lavorativa, ma si concretizza in una situazione esterna che pur si può ripercuotere negli ambienti di lavoro e, quindi, a danno del personale come conseguenza di comportamenti o circostanze esterne non controllabili dal datore di lavoro.
Si deve poi evidenziare un‘ulteriore circostanza. Nel caso in cui un lavoratore risulti positivo al virus COVID-19 non possiamo essere nemmeno certi che il contagio sia avvenuto nell’ambiente di lavoro. Ad oggi, gli spostamenti sono consentiti oltre che per motivi di lavoro anche per motivi di salute o necessità. L’ambiente di lavoro, quindi, diventa una delle possibili occasioni di contagio di un virus sul quale il Datore di Lavoro può intervenire solo con misure di contenimento, con la consapevolezza che non è un rischio proprio dell’attività aziendale.
Per quanto sopra si ritiene, quindi, condivisibile la posizione assunta dall’Ispettorato del Lavoro Nazionale quando sostiene non sia necessario aggiornare il DVR.
Questo non vuol dire che l’azienda non debba disporre tutte le opportune cautele per limitarne la diffusione. Lo stesso Istituto, ispirandosi ai principi contenuti nel D.lgs. n. 81/2008 e di massima precauzione, discendenti anche dal precetto contenuto nell’art. 2087 c.c., ritiene utile, per esigenze di natura organizzativa/gestionale, redigere – in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione e con il Medico Competente – un piano di intervento o una procedura per un approccio graduale nell’individuazione e nell’attuazione delle misure di prevenzione, basati sul contesto aziendale, sul profilo del lavoratore – o soggetto a questi equiparato – assicurando al personale se del caso anche adeguati DPI.
Tali misure potrebbero poi costituire un allegato del DVR.
Nulla quaestio in relazione alla necessità di aggiornamento del DVR negli ambienti di lavoro sanitario o socio-sanitario, come sopra riportato, o qualora il rischio biologico sia un rischio di natura professionale, già presente nel contesto operativo dell’azienda.
Condivisibile è anche ritenere che stante la portata nazionale ed imprevedibile dell’emergenza sanitaria in corso siano le Istituzioni: Governo, Regioni, Sindaci e scienziati a dover individuare le misure di prevenzione da adottare, ossia quelle che, via via, si rendono più opportuni in ragione della valutazione evolutiva dell’emergenza in corso.