Emergenza COVID-19: Profili di responsabilità del datore di lavoro per eventuali infortuni o malattie professionali determinate da contagio o da esposizione al relativo rischio


ABSTRACT

L’arrivo dell’epidemia del Covid-19 impone all’interprete di individuare correttamente le fattispecie penali applicabili al contagio che avvenga nei siti di produzione con il conseguente obbligo di determinare le cautele e gli adempimenti da implementare presso i luoghi di lavoro.

In proposito, un’indicazione specifica arriva dal Protocollo del 14.03.2020 sottoscritto dalle parti sociali su impulso del Consiglio dei Ministri che prevede, tra le altre misure, l’introduzione di un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole dello stesso Protocollo.



Introduzione

L’arrivo del Covid–19 in Italia impone all’interprete l’esame di numerose questioni giuridiche, nello specifico afferenti alla materia del diritto penale dell’economia.

In verità, i quesiti sottoposti ai tecnici del diritto riguardano molteplici aspetti della materia, molti dei quali prendono origine dalle attività economiche e, più precisamente, dai rischi derivanti dall’attività di impresa.

Il presente contributo vuole limitarsi ad analizzare i profili legati alle eventuali responsabilità del datore di lavoro per eventuali infortuni o malattie professionali determinate da contagio o da esposizione al relativo rischio.

Declinando la questione in termini più specificamente giuridici, è proposito di chi scrive chiedersi quali possano essere le responsabilità in capo al datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. che, come noto, assume il rango di norma fondamentale dell’impianto della responsabilità datoriale nei confronti di dipendenti e collaboratori.

Il secondo passo del presente elaborato è quello di provare ad individuare gli adempimenti raccomandabili agli operatori dell’economia per prevenire, in futuro, eventuali contestazioni di natura penalistica.

1. Criticità

Prima ancora di voler entrare nel merito è bene però puntualizzare gli aspetti di novità che caratterizzano la presente problematica e che comportano inevitabilmente uno sforzo maggiore per l’interprete.

Aspetti di novità che possono essere individuati, in primis, con riguardo alla situazione epidemiologica senza precedenti che determina l’impossibilità di ricorrere ad una letteratura scientifica definitiva o quantomeno consolidata.

In secondo luogo, poi, l’interprete deve confrontarsi con una normativa quotidianamente in aggiornamento che interessa diversi gradi della gerarchia delle fonti del diritto[1].

Lo status quo impone dunque di tener conto delle criticità sopra elencate.

2. Le possibili fattispecie di natura penale all’interno dei siti di produzione

Venendo quindi al merito della questione, i dati normativi che possono trovare punto di contatto con eventuali casi di contagio o di esposizione al rischio presso i luoghi di lavoro sono gli artt. 589 e 590 c.p. che prevedono i delitti di omicidio colposo e lesioni colpose.

Le norme, come noto, sanzionano la condotta del datore, colposa e spesso dettata da ragioni di risparmio, che ometta l’adozione delle cautele necessarie determinando un evento dannoso a scapito del dipendente o dei collaboratori.

Argomento dirimente nella ricostruzione di entrambe le fattispecie è il nesso di causalità che deve necessariamente intercorrere tra la condotta negligente e l’evento lesivo (sia esso la lesione o il decesso del lavoratore).

Normalmente la verifica della sussistenza di un nesso di causa tra la carenza organizzativa dell’impresa e l’evento lesivo verificatosi impone all’interprete di ricorrere allo studio di massime di esperienza o, come in questo caso, di leggi scientifiche.

E’ quindi su questo aspetto che si pone la prima criticità specificata nel paragrafo di cui sopra.

Ad oggi, infatti, non è possibile confrontarsi con una letteratura scientifica consolidata in materia di Covid-19 dovendosi limitare a quanto già analizzato ed esposto dal Ministero della Salute[2] e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità[3] in qualità di istituzioni qualificate.

In altri termini, le conoscenze sin qui acquisite dagli operatori scientifici non consentono di aderire ad un paradigma certo e duraturo nel tempo ma si limitano a fornire delle indicazioni preliminari e generiche sulle misure adottabili per il contenimento del contagio anche e soprattutto negli ambienti di lavoro.

Ulteriore aspetto legato alla criticità sopra esposta è il passaggio logico imposto dall’art. 41 c.p. che rappresenta un principio cardine nella ricostruzione di un nesso di causa nella materia penalistica.

La regola disciplina il concorso di diversi fattori nella realizzazione di un evento, determinando il criterio per escludere la rilevanza causale di eventuali concause precedenti o sopravvenute.

La norma assume rilievo per il ricorrere frequente di decessi di persone con patologie pregresse rispetto al Covid-19.

In tal senso, quindi, è d’obbligo chiedersi come possano configurarsi le fattispecie colpose d’evento indicate sopra in relazione agli eventuali casi di contagio da parte di soggetti che fossero già interessati da patologie pregresse.Tema ancor più complicato se si considera il problema ulteriore di dover accertare e/o verificare se il contagio sia avvenuto presso i luoghi di lavoro ovvero in altri ambiti.

Ipotesi che ricorre tanto nell’ipotesi dell’omicidio colposo che nel caso delle lesioni colpose.

Sul punto, l’unico strumento possibile è la rilevazione della temperatura corporea prima dell’ingresso e durante la giornata. Ancora meglio sarebbe la possibilità di sottoporre tutti i dipendenti ad un tampone per verificare il contagio ma una cautela simile si scontra inevitabilmente con la difficoltà nell’individuare i laboratori deputati alla verifica dei tamponi.

3. Le cautele raccomandabili per prevenire eventuali addebiti

Chiariti i problemi legati all’accertamento del nesso di causa in funzione dell’eventuale addebito della responsabilità penale, si può passare ad un esame dei profili rilevanti ai sensi del D.lgs. n. 81 del 2008 (T.U. sicurezza).

Il primo aspetto è se sussista l’obbligo di integrazione e/o di modifica del documento di valutazione dei rischi da effettuare entro il termine di legge previsto dall’articolo 29 comma 3 del sopra menzionato Testo unico.

Sul punto, è bene tenere a mente come l’Ispettorato del Lavoro Nazionale ha escluso la sussistenza di un obbligo generalizzato di aggiornamento del documento di valutazione dei rischi[4].

Questa necessità vi sarebbe solo nei casi di attività operative in ambito sanitario, socio-sanitario ovvero quando il rischio biologico sia legato al rischio professionale.

In ogni caso è certamente consigliabile che la versione aggiornata del documento preveda la distinzione tra il rischio di contagio genericamente sussistente ed il rischio specifico che deriva dallo svolgimento di una precisa attività professionale.

Dall’individuazione del rischio specifico legato all’attività professionale dovrà poi conseguire l’individuazione degli idonei dispositivi di protezione individuale.

Anche in questo caso, però, non aiuta la nota carenza di detti dispositivi (a partire dalle mascherine) e si auspica che tale circostanza venga presa in considerazione nei futuri eventuali addebiti nei confronti dei datori di lavoro (almeno per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato)[5].

Esaurita quindi la raccomandazione inerente all’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi, è bene scrutinare l’ulteriore accorgimento che potrebbe essere adottato in questa situazione.

Si pone all’attenzione dell’interprete il Protocollo sottoscritto dalle rappresentanze delle parti sociali su impulso del Consiglio dei Ministri. Il documento è suddiviso in 13 paragrafi che affrontano i singoli argomenti rilevanti nella gestione della sicurezza nei luoghi di lavoro[6].

Per la quasi totalità dei singoli paragrafi sono previsti degli accorgimenti mirati sui quali può bastare la raccomandazione di assimilare gli stessi all’interno del sistema di gestione della sicurezza implementato nelle realtà produttive.

Discorso un po' più complicato è quello che deriva dalla previsione del paragrafo 13 del Protocollo dove è prevista la costituzione di un Comitato dedito alla verifica dell’applicazione del Protocollo. Per la composizione del Comitato è prescritta la partecipazione delle rappresentanze sindacali e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Non essendo previste ulteriori indicazioni spetterà agli interpreti e ai tecnici della sicurezza nei luoghi di produzione arrivare a puntualizzare l’attività richiesta al predetto Comitato.

Senza pretesa di esaustività, quello che si può certamente raccomandare è una stretta collaborazione del Comitato con gli altri soggetti istituzionalmente previsti per la compliance relativa alla normativa vigente in materia di sicurezza sul lavoro e prevenzione degli infortuni.

Vengono quindi in mente il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il medico competente e, se presente nell’organizzazione aziendale il delegato ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. n. 81 del 2008.

In ultimo, ben potrebbe essere raccomandabile un intervento o quantomeno una supervisione del datore di lavoro individuato ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. n. 81 del 2008. Intervento raccomandabile anche per garantire al Comitato un minimo spazio per la capacità ed il potere di spesa che potrebbe essere conferito all’organismo.

In assenza di un effettivo potere gestionale e di spesa si rischia di compromettere l’incisività del Comitato.

Oltre ai sopra elencati raccordi con gli organismi previsti dal D.lgs. n. 81 del 2008 può essere certamente raccomandato anche un coordinamento dell’attività del Comitato con l’Organismo di Vigilanza sul Modello Organizzativo ex D.lgs. n. 231 del 2001 al fine di consentire un’effettiva cooperazione di tutti gli organi di controllo interno presenti nelle realtà aziendali.

Credits
Avv. Riccardo Dimiziani
Associate
ATTORNEY 231/2001 COMPLIANCE


[1]Alla data del presente contributo si possono individuare le seguenti fonti, aventi forza di legge (D.L. n. 6 del 23.02.2020 convertito con Legge n. 13 del 05 marzo 2020, D.L. n. 9 del 02.03.2020, D.L. n. 11 del 08.03.2020, D.L. n. 14 del 09.03.2020, D.L. n. 18 del 17.03.2020, D.L. n. 19 del 25.03.2020, D.L. n. 22 del 08.04.2020 e D.L. n. 23 del 08.04.2020) di regolamento governativo e quindi di natura secondaria (D.P.C.M. del 23.02.2020, 25.02.2020, 01.03.2020, 04.03.2020, 08.03.2020, 09.03.2020, 11.03.2020, 22.03.2020, 28.03.2020, 01.04.2020 e 10.04.2020) e, in ultimo, anche fonti riconducibili al c.d. “soft law” ovverosia il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 14.03.2020;  

[2]Si veda il link governativo: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus oltre alla circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute per quanto riguarda la sanificazione degli ambienti di lavoro in seguito ad un caso di contagio di un dipendente o collaboratore.

[3]Si veda, per quanto riguarda la realizzazione del liquido detergente: https://www.who.int/gpsc/5may/Guide_to_Local_Production.pdf

[4] Oltre al documento di valutazione dei rischi da interferenze quando vi sia la collaborazione di più soggetti nel luogo di lavoro come, ad esempio, nei cantieri.

[5] In proposito, si elencano gli interventi normativi mirati ad agevolare la produzione ed il reperimento delle mascherine e degli altri D.P.I. ovverosia dapprima l’art. 34 del D.L. n. 9 del 02 marzo 2020 che ha regolamentato l’acquisto delle mascherine e dei D.P.I. da parte della Protezione civile oltre all’utilizzo delle mascherine prive del marchio CE, disciplinando il ruolo dell’Istituto Superiore di Sanità come soggetto deputato alla verifica della conformità dei dispositivi; si legga poi l’art. 15 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 che ha consentito ai produttori ed importatori di mascherine di svolgere la loro attività senza le dovute certificazioni, limitandosi ad autocertificare la sussistenza dei requisiti tecnici previsti dall’Istituto superiore di sanità per le mascherine e dall’INAIL per gli altri D.P.I.; in ultimo si consideri anche l’art. 16 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 che ha stabilito che le mascherine di cui all’art. 34 del D.L. n. 9 del 02 marzo 2020 debbano essere considerate alla stregua di D.P.I.;

[6]Più precisamente individuati come segue: informazione; modalità di ingresso in azienda; modalità di accesso dei fornitori esterni; pulizia e sanificazione in azienda; precauzioni igieniche personali; dispositivi di protezione individuale; gestione spazi comuni (mensa, spogliatoi, aree fumatori, distributori di bevande e/o snack); organizzazione aziendale (turnazione, trasferte e smart work, rimodulazione dei livelli produttivi); gestione entrata e uscita dei dipendenti; spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione; gestione di una persona sintomatica in azienda; sorveglianza sanitaria/medico competente/rls; aggiornamento del protocollo di regolamentazione.