Gestione e smaltimento dei DPI nei luoghi di lavoro. Profili penali e 231/2001



ABSTRACT

Il presente articolo espone i profili di responsabilità penale e amministrativa degli enti, ai sensi del D.lgs. 231/01, soffermandosi, poi, sulle aziende e strutture sanitarie. L’utilizzo di DPI (mascherine, guanti) nei luoghi di lavoro pone il problema della gestione e del corretto smaltimento di detti rifiuti. Nell’ambito delle strutture che erogano prestazioni sanitarie (ospedali, case di cura, RSA) è pacifico che i DPI debbano essere considerati rifiuti speciali ai quali si applica il d.p.r. n. 254/03 che disciplina i rifiuti sanitari. All’interno delle altre aziende o enti, invece, i DPI utilizzati dal personale dipendente possono essere classificati come rifiuti urbani indifferenziati, tuttavia la società può optare per modalità di gestione maggiormente cautelative, in tal caso detti DPI dovrebbero essere gestiti come rifiuti speciali equivalenti a quelli prodotti dalle strutture sanitarie.



L’emergenza sanitaria determinata dall’epidemia Covid-19 pone in rilievo l’ulteriore problematica  relativa alla corretta gestione e al corretto smaltimento dei rifiuti, in particolare dei DPI (intesi come mascherine, guanti) dai quali potrebbe derivare un rischio di contaminazione negli ambienti di lavoro e nelle strutture sanitarie.

Le recenti disposizioni normative in materia di contenimento del virus non esplicitano le modalità di gestione dei DPI utilizzati in luoghi di lavoro, diversi dalle strutture sanitarie o ad esse assimilate, nel caso i cui non si siano riscontrati casi di persone affette dalla malattia.

Si segnalano di seguito le principali fonti normative:

  • la circolare del Ministero della Salute n. 5443 del 22/02/2020 che riporta le istruzioni sulla sanificazione degli ambienti ospedalieri e non, ove siano stati riscontrati casi positivi al Covid-19, la quale specifica che: “dopo l’uso, i DPI monouso vanno smaltiti come materiale potenzialmente infetto categoria B (UN3291)” anche quando non sono stati utilizzati per finalità sanitarie, ma di pulizia dei locali non sanitari potenzialmente contaminati. Anche in questo caso ci si riferisce a locali dove hanno soggiornato persone affette da Coronavirus.
  • il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità recante “Indicazioni ad interim per la gestione dei rifiuti urbani in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus sars-cov-2”, aggiornato al 31 marzo 2020, ha fornito delle raccomandazioni per la gestione dei rifiuti urbani, extra-sanitari da parte dei soggetti positivi e non positivi al tampone, o in quarantena obbligatoria, precisando che:

Per le abitazioni in cui non sono presenti soggetti positivi al tampone, in isolamento o in quarantena obbligatoria, si raccomanda di mantenere le procedure in vigore nel territorio di appartenenza, non interrompendo la raccolta differenziata. A scopo cautelativo tutti i rifiuti derivanti da contatto con occhi, naso e bocca (fazzoletti di carta, teli di carta, guanti e mascherine) che possono essere fonte di trasmissione di contagio, dovranno essere trattati in modo particolare e (posti in 2 sacchetti uno all’interno dell’altro, chiusi con guanti monouso e non schiacciati) smaltiti nei rifiuti indifferenziati.

Nelle abitazioni in cui sono presenti soggetti positivi al tampone, in isolamento o in quarantena obbligatoria, sia interrotta la raccolta differenziata, ove in essere, e che tutti i rifiuti domestici, indipendentemente dalla loro natura (vetro, metallo, rifiuti organici, plastica), includendo fazzoletti di carta, mascherine e guanti, siano equiparati a rifiuti indifferenziati e pertanto raccolti e conferiti insieme” nello stesso secchetto con le precauzioni sopra descritte.

Si precisa inoltre, che, in data 23 marzo 2020 il Consiglio SNAP, tenuto conto delle indicazioni fornite dall’ISS (nota Prot n. 8293 del 12 marzo 2020, Rapporto Istituto Superiore di Sanità Covid-19 n. 3 2020) ha specificato che i rifiuti urbani provenienti da utenze ove soggiornano soggetti positivi al tampone in isolamento o in quarantena obbligatoria devono essere classificati con il codice CER 200301, rifiuti non differenziati. Questi dovranno essere inviati senza alcun trattamento preliminare ad incenerimento o a trattamento meccanico biologico garantendone la sterilizzazione.

In assenza di ulteriori fonti normative in materia, si è posto il problema di come gestire rifiuti prodotti in ambito lavorativo e soprattutto quale codice EER assegnare ad essi.

In tale situazione emergenziale non pare ipotizzabile un’unica scelta, in quanto essa dipende da vari fattori, quali ad esempio la possibilità di affidare al servizio pubblico di raccolta i rifiuti “speciali” prodotti nelle varie attività. Pertanto, appaiono ipotizzabili i seguenti scenari:

  • nel caso in cui l’azienda che utilizza DPI sia collocata in ambito municipale e abbia una quota parte dei rifiuti prodotti “assimilabili” agli urbani, detti DPI potranno essere considerati tali, in quanto di fatto sono equivalenti ad un rifiuto di carta (mascherine) e/o di plastica/lattice (guanti). Essi andranno imballati in doppio o triplo sacchetto flessibile a perdere e chiuso con fascetta e conferiti unitamente agli altri rifiuti indifferenziati al sistema pubblico di raccolta. Il codice EER in questo caso potrebbe essere il 200301;
  • ove l’azienda che utilizza DPI non abbia alcuna possibilità di considerarli “assimilabili”, si dovrà garantire che essi, comunque, non vengano avviati a raccolta differenziata. Si potrà assegnare a tali rifiuti il codice EER 150203, avviandoli, in via cautelativa, ad incenerimento. In questo caso non si dovrà procedere ad alcuna “caratterizzazione” del rifiuto, in quanto lo stesso non deve essere sottoposto a manipolazione;
  • la terza opzione, più conservativa, riguarda la possibilità di applicare il D.p.r. n. 254/2003 che disciplina i sui rifiuti sanitari, e dunque di poter considerare che non solo nelle strutture sanitarie si possa avere la presenza di rifiuti a rischio infettivo, ma anche nelle strutture che non erogano prestazioni sanitarie come le aziende e gli enti.

Sul punto il Dpr 254/2003 all’articolo 1, comma 5, lettera g), stabilisce che il medesimo regolamento si applica ai “rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo, …”.

Pertanto, sulla base di quanto riportato nel Dpr 254/2003, è possibile assegnare ai rifiuti in questione, il codice EER 180103, relativo a un rifiuto a rischio infettivo prodotto al di fuori di una struttura sanitaria. In questo caso, ovviamente, occorre seguire per intero e con rigore la “filiera” del rifiuto sanitario di seguito illustrata.

Tanto premesso, si potrebbe concludere che le mascherine e i guanti impiegati in ambienti di lavoro diversi dalle strutture sanitarie possano essere conferiti al gestore del servizio nella frazione di rifiuti indifferenziati.

Nel caso in cui si optasse per modalità di gestione maggiormente cautelative, i DPI usati nei luoghi di lavoro dovrebbero essere gestiti come rifiuti speciali equivalenti a quelli prodotti dalle strutture sanitarie, disciplinati dal DPR 254/2003. Occorre evidenziare che il ricorso alle modalità di gestione tipiche dei rifiuti sanitari costituisce una scelta e non un obbligo della società di trattare i rifiuti derivanti dall’uso di DPI come rifiuti speciali, diversamente questi saranno equiparati a rifiuti urbani indifferenziati  

A conferma di tale impostazione alcune ordinanze regionali adottate da Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna hanno precisato che i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) utilizzati all’interno di attività economiche per la tutela da COVID-19, quali mascherine e guanti, devono essere assimilati agli urbani ed in particolare devono essere conferiti al gestore del servizio nella frazione di rifiuti indifferenziati.”

Infine nelle strutture sanitarie ed in quelle ad esse assimilate (RSA) i DPI, quali mascherine indossate da pazienti positivi, le tute e tutti gli altri dispositivi di protezione utilizzati dal personale sanitario sono rifiuti sanitari, pertanto gli stessi debbano essere trattati come rifiuti speciali con conseguente applicazione della disciplina contenuta nel d.p.r. n. 254/03.

La gestione dei rifiuti sanitari presuppone un procedimento di smaltimento molto rigido e rigoroso.

I rifiuti devono essere trattati ed eliminati come materiale infetto categoria B (UN3291) corrispondenti al codice CER 180103. Tale codice è soggetto a tutti gli adempimenti obbligatori: tenuta del registro di carico e scarico, emissione di formulari di trasporto rifiuti, utilizzo di trasportatori autorizzati in ADR nella fase di smaltimento, presentazione di MUD annuale.

I rifiuti derivanti dallo svolgimento delle prestazioni sanitarie dovranno essere collocati in un doppio sacco in appositi contenitori separati, tipo halibox (in cartone, completo di sacco in polietilene, fascetta autobloccante), di colore diverso da quelli utilizzati per i rifiuti urbani; chiusi e datati a fine sanificazione anche se non pieni; messi in deposito temporaneo presso l’azienda o la struttura; ed infine avviati, avvalendosi di una azienda specializzata per il trasporto di rifiuti speciali, a smaltimento con incenerimento senza alcun trattamento preliminare entro 5 gg di calendario dalla chiusura del contenitore nel rispetto dei requisiti di igiene e sicurezza, tale termine è esteso a 30 gg. per quantitativi inferiori a 200 litri.

Individuati i principali riferimenti normativi, nonché le modalità operative di gestione dei rifiuti, giova soffermarsi sui profili di responsabilità in cui potrebbero incorrere le aziende, le strutture sanitarie e quelle ad esse assimilate quali le RSA.

Il primo profilo è quello della responsabilità datoriale nei confronti del personale dipendente o del personale sanitario chiamato a svolgere l’attività nell’ambito del luogo di lavoro.

Nell’ipotesi di contagio da Covid-19 del lavoratore derivante da DPI contaminati vi è una astratta possibilità per il datore di lavoro della società di incorrere nella responsabilità penale per i reati di lesioni personali gravi/gravissime (art. 590 c.p.) o di omicidio colposo (art.589 c.p.), con possibili implicazioni anche sotto il profilo della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.lgs. 231/01.

Dal momento che i reati su citati rientrano nel novero dei reati presupposto del Decreto 231 potrebbe essere contestata alla società/struttura sanitaria/RSA la responsabilità amministrativa dell’ente in relazione all’art. 25-septies del D.lgs. 231/01 con riferimento a quegli aspetti di colpa organizzativa connessi alla violazione di norme sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ovvero la mancata valutazione dei rischi derivanti dall’esposizione agli agenti biologici presenti nell’ambiente ex art. 271 D.lgs. 81/2008.

Infine, la mancata adozione delle più adeguate procedure del sistema gestione ambientale relative allo smaltimento di DPI contaminati o potenzialmente infetti, peraltro, potrebbe astrattamente esporre alla responsabilità del datore di lavoro e quella dell’ente, prevista dall’art. 25-undecies del D.lgs. 231/01 relativo ai reati ambientali.

Sotto il profilo della responsabilità datoriale è astrattamente configurabile in capo al datore di lavoro e/o al direttore sanitario una responsabilità penale per omessa vigilanza in ordine alle procedure di smaltimento dei rifiuti speciali.

 In particolare, la responsabilità del datore di lavoro /direttore sanitario in materia di rifiuti, secondo la giurisprudenza si evince dal combinato disposto di cui agli art. 40 ult. com. c.p. e 256 com. 6, D.lgs. n. 152/06 (ex art. 45 D.lgs. n. 22/97) per omissione di atti doverosi sull’iter di smaltimento dei rifiuti per il quale il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi deve essere effettuato in condizioni tali da non causare rischi per la salute. Ne deriva che al datore di lavoro/ al direttore/ al responsabile sanitario della struttura pubblica o privata compete la sorveglianza e il rispetto di tutte le disposizioni di cui all’art. 227 D.lgs. n. 152/06 fino al conferimento dei rifiuti all’operatore autorizzato al trasporto verso l’impianto di smaltimento onde evitare dispersioni improprie e pericolose per la salute e l’ambiente. Con la conseguenza che i soggetti sui citati potrebbero essere responsabili per la mancata sorveglianza dei dipendenti in ordine al rispetto della disciplina sui rifiuti sanitari e per non aver impedito al personale stesso di aver gestito in modo scorretto tali rifiuti.

Infine potrebbe essere astrattamente ascritta alla società/struttura ospedaliera/RSA una responsabilità amministrativa dell’ente in relazione all’art. 25-undecies D.lgs. 231/01 per il reato di cui all’art. 256, com. 2 in violazione del divieto di cui all’art. 192, com.1 D.lgs. n. 152/2006. Con riguardo al reato di cui all’art. 256 la giurisprudenza di legittimità ha precisato, in più occasioni, che lo stesso non si configura quale reato proprio pertanto, per la sua sussistenza non è necessario che venga integrato da soggetti esercenti professionalmente l’attività di gestione rifiuti, in quanto la norma fa riferimento a “chiunque”. (cfr. ex multis Cass., Sentenza n. 23971/2011).

Ad oggi, sono in corso le prime indagini (ad es. quelle svolte dalla Procura della Repubblica di Trani), al fine di verificare il rispetto delle norme relative allo smaltimento dei rifiuti derivanti dall’uso di DPI negli ospedali e nelle RSA.

Credits:
Dott.ssa Arcangela Lomurno
Junior Associate

Criminal Law