Gli accertamenti non formali dell’Agenzia delle Entrate non precludono l’applicazione della causa di non punibilità ex art. 13 D. Lgs. 74/2000


ABSTRACT

Accusato del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000, per aver indicato elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, l’imputato è stato assolto per aver pagato il debito tributario con ravvedimento operoso sebbene il pagamento sia intervenuto a seguito dell’informale conoscenza di accertamento da parte dell’Agenza delle Entrate.



Con la sentenza della III sezione, n. 26274/20223, la Corte di Cassazione, torna sul rapporto tra causa di non punibilità di cui all’art. 13 D. Lgs. 74/2000 e ravvedimento operoso dell’imputato, in particolare in relazione all’avvenuta estinzione del debito tributario inerente un’ipotesi di dichiarazione fraudolenta ai sensi dell’art. 2. Nel caso di specie, il pagamento era avvenuto a seguito di una richiesta di informazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In sostanza, l’imputato aveva provveduto al pagamento del debito tributario dopo l’avvio di accertamenti nei confronti di un soggetto terzo e prima che venisse compiuto alcun accertamento formale nei suoi confronti. Da qui la dichiarazione di non punibilità riconosciuta dal Tribunale ai sensi dell’art. 13 comma 2 D. Lgs. 74/2000.

Il Procuratore della Repubblica, nell’impugnare il provvedimento del Giudice del primo grado che, appunto, aveva dichiarato non punibile la condotta antigiuridica, ha censurato l’applicazione al caso di specie della citata esimente, atteso che il ravvedimento operoso da parte dell’utilizzatore[1] delle fatture era avvenuto solo dopo che questi era stato chiamato dall’Agenzia delle Entrate a fornire chiarimenti nel corso di una verifica compiuta, come detto, non nei suoi confronti, bensì nei confronti della società che proprio quelle fatture aveva emesso.

Orbene, secondo il PG, dunque, la causa di non punibilità speciale non poteva operare, poiché applicata in violazione della disposizione penale. Il ravvedimento, infatti, non era avvenuto prima che l’imputato avesse avuto “formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali”, che di fatto rappresenta la conditio sine qua non posta dal menzionato art. 13 comma D. Lgs. 74/2000.

Nel rigettare il ricorso del Procuratore Generale, la Corte si è soffermata sul concetto di formale conoscenza di accessi ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali” e si pone con maggior rilievo con riferimento a “qualunque attività di accertamento amministrativo”. Sia in punto oggettivo, sia sotto l’aspetto soggettivo.

Nell’ottica oggettiva, tale ultima espressione, contrariamente a quella relativa alla formale conoscenza di attività investigative in ambito penalistico e, dunque, soggette alle regole del processo penale ed ai principi cui esso si ispira, non richiama la disposizione gli atti tipici del processo tributario, laddove, nel caso di specie, la conoscenza non era dipesa atti formali, bensì da meri atti istruttori, quindi non adeguati per dispiegare effetti giuridici sul soggetto richiesto.

Dal punto di vista soggettivo, il dubbio interpretativo risolto in senso restrittivo dalla Corte, è caratterizzato dal fatto che la disposizione penale scriminante difetta delle necessarie precisazioni di natura soggettiva: e difatti nulla si dice sul soggetto sul quale ricade “l’accertamento amministrativo” e, cioè se sul solo contribuente ovvero anche su terzi, come nel caso in esame. Tale aspetto non è secondario, dato che “formale” è da considerarsi la conoscenza di un atto notificato e che riguardi un’attività effettivamente rivolta nei confronti dello stesso soggetto.

E difatti, nella decisione in commento la Corte di Cassazione ha affermato che: “l’essere stato chiamato a chiarimenti nell’ambito di verifiche svolte nei confronti di un soggetto eventualmente implicato in un diverso reato non equivale ad avere avuto cognizione di un accertamento compiuto nei propri confronti, tanto più alla luce dell’attributo ‘formale’ della conoscenza richiesta, il quale postula che l’accertamento sia quantomeno riferito al soggetto interessato. In assenza di una espressa specifica previsione limitatrice, deve ritenersi conforme alla voluntas legis la soluzione interpretativa che non limita l’applicazione della norma premiale nei confronti di un soggetto, qual è l’utilizzatore delle fatture per operazioni inesistenti ex art. 2 D.lvo 74/2000, che resta estraneo all’attività di accertamento compiuto sul soggetto emittente le suddette fatture, che neppure è un concorrente”.

In altri termini, nell’uniformarsi alle interpretazioni sorte già a seguito della riforma, la Corte censura la sussistenza della condizione ostativa in relazione alla conoscenza di qualunque procedimento amministrativo nei confronti di chiunque, anche soggetto estraneo, poiché comporterebbe una eccessiva dilatazione del limite legale di applicazione della causa di non punibilità, con l’effetto di frustrare la ratio della disciplina, ispirata – invece – all’incentivazione dei “comportamenti virtuosi”.

La conclusione cui giunge la Corte di Cassazione, di sicuro rilievo e potenziale impatto pratico pro futuro, anche nell’ottica di una riduzione del carico giudiziario, indirizza l’operatore verso una nuova interpretazione della disposizione, secondo la quale sarà necessario verificare – ai fini della non applicazione della causa di non punibilità – sia la natura dell’accertamento in termini di modalità e tempistiche, nonché la natura soggettiva della stessa, e cioè nei confronti di chi viene indirizzata.

[1] Utilizzate nella dichiarazione annuale ove ha esposto elementi passivi fittizi.


Credits:
Avv. Giuseppe Mangiameli
Associate
Attorney Criminal Law