I buoni frutti esegetici (della sentenza “ThyssenKrupp) non cadono lontano dall’albero.

Credits: Avv. Fabrizio Sardella


Abstract: Con la breve ed interessante sentenza annotata, la numero 39615 del 26 ottobre 2022, la Sezione IV della Corte di Cassazione ha proseguito e precisato l’esegesi proposta nella sentenza 38343/2014 Espenhahn et al. In particolare, si è occupata di definire i criteri di attribuzione del reato all’ente, ossia l’interesse e vantaggio, ed i limiti alla prova della c.d. “colpa di organizzazione”.

Si consolida, così, l’orientamento rigoroso circa la valutazione dell’interesse e del vantaggio dell’ente, anche nel caso dei reati colposi.



La sentenza annotata prosegue l’esegesi dei criteri di attribuzione della responsabilità da reato all’ente.

Siamo, al solito, nell’ipotesi di reato colposi d’evento: lesioni colpose del lavoratore, cagionatesi per il mancato rispetto delle norme anti infortunistiche.

E viene ribadita la differenza tra l’interesse e il vantaggio con riferimento ai delitti colposi di cui all’art. 25 septies del D.Lgs. 231/2001. Questi due criteri di imputazione, oltreché alternativi ed eventualmente concorrenti tra loro, devono essere riferiti alla condotta e non all’evento, nel caso in cui la responsabilità dell’ente discenda da reato colposo.

I due criteri di attribuzione della responsabilità all’ente (compreso, dunque, il vantaggio) sono da vagliare solo dopo aver escluso che il reo abbia agito per interesse esclusivo proprio o di terzi.

In tale caso, la Sezione IV penale della Corte di Cassazione, ricorda che l’interesse dell’ente nel reato è un criterio soggettivo, indagabile solo con una prospettiva ex ante. Infatti, nei reati colposi di evento per l’esistenza dell’interesse è necessaria la consapevolezza della violazione delle norme antinfortunistiche, in quanto è da essa che discende il beneficio economico dell’ente. In tale ipotesi la volontà di risparmiare proprio tramite l’inosservanza è indispensabile per la configurazione dell’interesse dell’ente.

Il canone del vantaggio è definito come criterio oggettivo, strettamente connesso al profitto realizzatosi in capo all’ente a seguito della commissione del reato da parte della persona fisica. Nell’ipotesi di reati colposi si “dovrà guardare solamente al vantaggio ottenuto tramite la condotta.” Per i reati colposi d’evento, contro la vita e l’incolumità personale commessi sul lavoro, la condotta è riconducibile alla violazione delle regole cautelari antinfortunistiche, pertanto, bisognerà indagare ex post se l’ente abbia ottenuto un vantaggio a carattere economico.

Questo, in sintesi, significa che per la valutazione dell’esistenza di una responsabilità dell’ente ex D. Lgs. 231/2001 nei reati colposi d’evento, si deve sempre avere riguardo solo alla condotta trasgressiva della regola cautelare, teleologicamente connessa all’evento.

Ciò premesso, l’elemento comune tra interesse e vantaggio è rappresentato dall’utilità del reato per l’ente.

Nel caso dell’interesse, l’utilità è voluta dal reo (persona fisica) per l’ente o, quantomeno, anche per l’ente. Non importa, in questo caso, se tale utilità sia effettivamente venuta in esistenza.

Nel caso del vantaggio, invece, l’utilità del reato (anche) per l’ente deve essersi effettivamente generata e, nell’ipotesi di responsabilità dell’ente per reati colposi d’evento, deve essere tratta dal risparmio sistematico ed apprezzabile, sempre eliminandosi mentalmente l’evento, per consentire di valutare l’effettiva ed apprezzabile utilità per l’ente.

Il discrimine tra i due criteri di attribuzione, il criterio soggettivo, ovvero l’interesse, e il criterio oggettivo, ovvero il vantaggio, risiede nella volontà o meno del reo di procedere alla violazione di regole cautelari al fine di far risparmiare anche l’ente. Infatti, “la mancanza di tale volontà rappresenta la sostanziale differenza rispetto all’interesse, ma solamente che risulti integrata la violazione di regole cautelari contestate.”

La Corte sottolinea come, in questo modo, il vantaggio possa essere rapportato alle “specifiche contestazioni mosse alla persona fisica, salvaguardando il principio di colpevolezza, ma allo stesso tempo permettendo che venga attinto da sanzione penale anche il soggetto che, in concreto ed obiettivamente, si è giovato della violazione cautelare, vale a dire l’ente.”

Infine, gli Ermellini hanno indagato, seppure rapidamente, il tema della “colpa di organizzazione”.

Come noto, gli ulteriori elementi imprescindibili dell’illecito dell’ente sono “oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l’ente (cd. immedesimazione organica), sono la colpa di organizzazione, appunto, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due.” In altri termini, la responsabilità dell’ente sussiste solo se il reato, che generato utilità (anche) per l’ente stesso, essendo stato commesso (anche) nel suo interesse o suo vantaggio, sia stato colposamente reso possibile dalla persona giuridica. In altri termini, debbono mancare le cautele utili a prevenire proprio quel reato realizzatosi. Questo requisito della responsabilità delle societas non coincide con la mancata adozione, né l’inefficace attuazione dei Modelli Organizzativi e di Gestione ex. art 6 e 7 D. Lgs. 231/2001 e art. 30 T.U 81/08.

La semplice lacuna formale non è elemento costitutivo della tipicità dell’illecito dell’ente, ma può integrare una circostanza atta a dimostrare la colpa di organizzazione. L’onere probatorio a riguardo è chiaramente disciplinato dall’art. 6 del D. Lgs. 231/2001: di tal che, nei casi e modi lì previsti, è possibile provare l’esistenza di presidi preventivi idonei a prevenire il reato, anche in assenza di un Modello Organizzativo formalmente inteso.


Credits: Avv. Fabrizio Sardella