Il peso dei principi Costituzionali. La scelta attuale della Consulta: è legittima l’esclusione del rito abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo

Credits: Avv. Fabrizio Sardella, Avv. Riccardo Dimiziani


ABSTRACT

Secondo la pronuncia della Consulta la Legge 33/2019 non è in contrasto con i principi di cui agli artt. 2, 3, 24, 27, 111 e 117 della Costituzione: non consentire il ricorso al rito abbreviato all’imputato per reati puniti con l’ergastolo rientra nella discrezionalità del Legislatore. Discrezionalità che, nel caso di specie, è stata esercitata senza evidente sproporzione ed in modo ragionevole. Questo è l’approdo del giudizio tra valori contrapposti raggiunto hic et nunc dalla Corte Costituzionale. Il bilanciamento resta, per sua natura, superabile in futuro, proprio perché strettamente connesso allo strumento utilizzato pro tempore per pesare i principi costituzionali.



I precedenti normativi sul tema

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte Costituzionale non ha mancato di avere un significativo eco mediatico, anche per i diversi soggetti a vario titolo intervenuti nel procedimento di esame della questione di legittimità costituzionale.

Infatti, è intervenuta la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con apposita costituzione, e l’U.C.P.I.[1] ha depositato una nota scritta nel giudizio.

La questione è stata sollevata da diverse sedi giudiziarie[2] con plurime argomentazioni, in parte sovrapponibili.

La pronuncia non ha mancato di ricordare che nella materia si sono succedute diverse discipline nel tempo; senza ripercorrere l’excursus storico approfondito dalla Corte, basti evidenziare che la possibilità di ricorrere al rito abbreviato era preclusa agli imputati di reati puniti con l’ergastolo sino al 1999.

Solo con la Legge n. 479 del 16 dicembre 1999 (c.d. “Legge Carotti”) veniva inserita la possibilità di richiedere il rito abbreviato anche nei procedimenti relativi a reati puniti con l’ergastolo; con la stessa occasione veniva stabilito il regime “premiale” attribuito in forza del rito alternativo con la pena di anni 30 in luogo della sanzione perpetua.

Gli argomenti addotti dai Giudici rimettenti

La questione decisa dalla Corte Costituzionale è stata sollevata da diversi Giudici con argomentazioni diverse. Seppure in parte sovrapponibili. La remissione ha sottoposto al vaglio di costituzionalità diversi aspetti dell’intervento normativo della Legge 33/2019:

-       l’inserimento del comma 1-bis all’art. 438 comma c.p.p.;

-       l’art. 3, relativo al secondo e terzo periodo del comma 2 dell’art. 442 c.p.p.[3];

-       l’art. 5, quale norma transitoria relativa al regime temporale di entrata in vigore.

Le ragioni addotte per la declaratoria di incostituzionalità muovevano dal contrasto con numerosi principi costituzionali.

In primis, l’intervento normativo determinerebbe un trattamento differenziato ed ingiustificato, poiché le fattispecie punite con l’ergastolo non sono sempre omogenee[4], oltre al fatto che spesso ricorrono reati simili che invece non sono sottoposte al medesimo trattamento sanzionatorio[5]. Questa criticità consisterebbe in una lesione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione.

Un ulteriore motivo di vulnus costituzionale verrebbe da un contrasto con i principi sottesi all’art. 24 della Costituzione, riguardante il diritto di difesa. Il contrasto è stato ravvisato nella violazione del “diritto di accesso ai riti” ovvero, con il combinato disposto degli artt. 2 e 3 della Costituzione, nella violazione del “diritto al rispetto della dignità e della riservatezza”.

La seconda censura, in particolare, consisterebbe nella costrizione inflitta all’imputato di partecipare necessariamente al dibattimento in udienza pubblica, senza poter accedere al rito alternativo in udienza camerale. La lesione del diritto costituzionale sarebbe ancora più grave proprio in ragione della gravità delle condotte punite con l’ergastolo, più idonee a determinare risentimento morale da parte dell’imputato.

È stata, poi, ravvisato un vulnus anche con riferimento al principio di presunzione di innocenza di cui all’art. 27 comma 2 della Costituzione. Questa osservazione è stata promossa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Piacenza, che ha rilevato nell’intervento del legislatore una implicita presunzione di colpa dell’imputato, al quale viene preclusa la possibilità di accedere al rito alternativo in ogni caso[6].

La riforma sarebbe, altresì, in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 comma 2 della Costituzione; poiché, precludendo la definizione con rito abbreviato, si determina un aumento dei processi ordinari, con conseguenti ricadute sui tempi dei processi.

Oltre a quanto sopra, il rilievo di non conformità alla Carta costituzionale è individuato con riferimento all’art. 117, comma 1, per contrasto con diversi principi acquisiti dal “diritto vivente” sancito dalla C.E.D.U..

In primo luogo, vi sarebbe una violazione del principio tempus regit actum, secondo cui le modifiche di norme processuali possono spiegare efficacia anche per procedimenti relativi a fatti commessi prima dell’entrata in vigore delle stesse[7].

Come seconda lesione dei principi costituzionali, l’intervento normativo precluderebbe all’imputato la facoltà di scegliere “procedure semplificate” come previsto dagli artt. 6 e 7 della C.E.D.U.

Elencate in questi termini le molteplici censure di legittimità costituzionalità sollevate dalle tre sedi giudiziarie rimettenti, è bene spiegare le motivazioni addotte dal Giudice delle Leggi per rigettare tutte le istanze sollevate.

Le motivazioni della decisione della Corte Costituzionale: alcune ulteriori considerazioni

Per ragioni espositive si tratterà in primo luogo la soluzione fornita dalla Consulta alla questione intertemporale relativa alla norma transitoria di cui all’art. 5 della Legge n. 33 del 2019.

Come si è detto, l’articolo sancisce l’applicabilità della riforma solo ai fatti successivi alla sua entrata in vigore, così derogando il principio del tempus regit actum normalmente vigente per le leggi processuali.

In proposito, la Consulta si è limitata a ravvisare una deroga al principio generale operata dal Legislatore, senza che questo possa incidere con le garanzie costituzionali sottese al principio secondo cui i consociati devono poter fare affidamento sulla legge vigente in un dato momento storico.

La censura non coglie nel segno, poiché le norme incriminatrici, quelle di diritto sostanziale, hanno la medesima regola di successione nel tempo, ben più garantista di quella prevista in genere per i canoni processuali.

La Corte Costituzionale ha evidenziato la consapevolezza del legislatore di intervenire in materia di norme che, seppure di tipo processuale, hanno una forte capacità di incidere nella determinazione sanzionatoria operata dalle leggi penali.

Da tale considerazione astratta discende la scelta di applicare la soluzione più garantista per la successione di norme nel tempo.

Proseguendo con l’esame della complessa motivazione predisposta dalla Consulta, si rileva il rigetto della questione di legittimità con riferimento alle norme sostanziali di cui agli artt. 2, 3, 24, 27 comma 2, 111 comma 1 e 2 e, da ultimo 117 comma 1 della Carta fondamentale.

A partire dal principio di ragionevolezza di cui all’art. 3, la Consulta ha escluso che vi sia una lesione del principio costituzionale, poiché un eventuale trattamento discriminatorio andrebbe misurato con riferimento agli altri precetti assistiti dalla sanzione dell’ergastolo. Non essendoci alcuna discriminazione in tal ambito, il vulnus eventuale non colpisce la norma processuale, che è relativa ai presupposti e ai limiti per accedere al rito abbreviato.

Venendo, invece, alla ipotizzata lesione dell’art. 24 della Costituzione, la Consulta ha offerto argomentazioni per superarla che, a parere di chi scrive, sono da considerarsi un unicum con quelle sostenute per la legittimità della novella con riferimento alla lesione dell’art. 27 della Costituzione.

Si tratta di due doglianze che partono da un terreno comune, quello della potenziale innocenza dell’imputato e dei suoi diritti di difesa. E, per conseguenza, sfociano in ragionamenti di rigetto consimili, basati su giudizi di comparazione valoriale.

I Giudici delle Leggi hanno affermato che, pur essendovi il diritto dell’imputato di accedere ai riti alternativi, questa facoltà non consiste in una posizione soggettiva incomprimibile da parte del legislatore. Quest’ultimo, infatti, può operare restrizioni esercitando la sua funzione istituzionale.

Con riguardo alla presunta lesione del “diritto alla dignità ed alla riservatezza” ed all’inversione del principio di presunzione di innocenza la Corte Costituzionale non ha ravvisato alcuna lesione dei principi costituzionali, poiché la giustizia è esercitata in nome del Popolo (art. 101 comma 1 Cost.) e non c’è un diritto dell’imputato alla “riservatezza” del processo.

Ove l’imputato fosse innocente? La sua innocenza potrebbe emergere nel corso del processo ordinario, consentendo di rimettere in termini l’imputato per l’accesso al rito alternativo.

Su questo punto, considerato un unicum, come scritto, si evidenzia compiutamente il giudizio valoriale espresso dalla Consulta: la Corte ha implicitamente bilanciato il diritto alla difesa, in tempi celeri e con modalità che garantiscano la dignità e la riservatezza dell’imputato – innocente o colpevole che sia - con la trasparenza degli atti dibattimentali, assurta a garanzia di imparzialità e obiettività. Da questo deriva l’affermata assenza del diritto dell’imputato – ripetiamo, innocente o colpevole che sia - ad evitare udienze pubbliche ed un processo più lungo e costoso, sotto ogni aspetto.

Venendo agli ultimi due asseriti contrasti con le norme costituzionali, la Consulta ha precisato quanto segue.

Con riferimento all’art. 111 commi 1 e 2 della Costituzione il Giudice delle Leggi ha evidenziato come l’articolo si riferisca alla “ragionevole durata[8]” del processo e che, ancora una volta, spetta solo al Legislatore dettare le regole chiamate a bilanciare questo principio con altri previsti dall’ordinamento, come quello sotteso alle istanze di punizione.

Più precisamente, la dilatazione dei tempi processuali che conseguirà alla riforma introdotta nel 2019 non è tale da sconfinare in una lesione del relativo principio costituzionale.

In ultimo, anche l’art. 117 comma 1 che richiama gli artt. 6 e 7 della C.E.D.U. non è in alcun modo leso da parte della novella, poiché, anche in questo caso, la scelta operata dal legislatore non trova alcun ostacolo esplicito nelle disposizioni internazionali di tipo convenzionale.

Dalla lettura della complessa motivazione, emerge l’operazione di bilanciamento effettuato dalla Corte Costituzionale tra gli interessi ed i principi, quivi confliggenti, che compongono l’ordinamento penale, sotto il profilo tanto processuale quanto sostanziale. L’equilibrio raggiunto in questa decisione rappresenta uno dei possibili approdi, quello in sintonia con il rigorismo penalistico oggi in voga. La bilancia utilizzata dalla Consulta è, forse inevitabilmente, quella disponibile oggi. Tuttavia, la soluzione attuale è superabile in futuro proprio perché intimamente legata al metro usato per formulare il giudizio - hic et nunc - di prevalenza tra i valori contenuti nella nostra Costituzione.

Credits:
Avv. Fabrizio Sardella
Founder Name Partner
Criminal Law 231/2001 Compliance
Avv. Riccardo Dimiziani
Associate
Attorney 231/2001 Compliance

[1] Unione delle camere penali italiane

[2] Ordinanza del 06 novembre 2020 del G.U.P. del Tribunale di La Spezia, Ordinanza del 05 febbraio 2020 della Corte d’Assise di Napoli ed Ordinanza del 16 luglio 2020.

[3] La norma sanciva la sanzione di anni trenta in sostituzione dell’ergastolo e l’applicazione dell’ergastolo ai casi di ergastolo con isolamento diurno.

[4] In particolare, ricorrono fattispecie per le quali l’ergastolo è previsto direttamente dalla norma incriminatrice mentre in altri casi la sanzione perpetua è determinata in forza di una circostanza aggravante (è il caso dell’omicidio, fattispecie concreta sottesa a tutte e tre le questioni portate all’attenzione della Consulta).

[5] Nella sentenza non è mancato un riferimento alla fattispecie dell’omicidio nei confronti di un prossimo congiunto, aggravato ex artt. 575, 576 primo comma e 577 comma 2 c.p.p., che prevede la sanzione dell’ergastolo a fronte di un trattamento diverso e meno rigoroso previsto per il coniuge separato.

[6] Il ragionamento sotteso alla censura processuale riguarda la possibilità dell’imputato (che sarà, poi, giudicato innocente) di accedere al rito abbreviato. Questa preclusione determina in capo all’innocente un annoso patimento, costituito dal processo penale

[7] In proposito, l’art. 5 della Legge n. 33 del 2019 prevede l’applicabilità delle nuove norme esclusivamente ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore delle stesse.

[8] Termine volutamente diverso da “breve durata” o “rapido processo”