Il presunto valore legale della FAQ nel sistema delle fonti del diritto


ABSTRACT

In questi mesi di emergenza epidemiologica si sono affermati neologismi, come le FAQ. Note specialmente nell’ambito dell’e-commerce e dei servizi, che se ne servono per rispondere pubblicamente ad interrogativi diffusi, oggi vengono utilizzate anche dal Governo per specificare l’ambito di applicazione delle norme e dei termini, soprattutto quelli con una spiccata valenza innovativa, si pensi ad esempio ai “congiunti”. Tuttavia non vi è alcun fondamento normativo che possa giustificarne la funzione esegetica attribuitagli dal Governo. Un tema non di poco conto che si pone a metà strada tra i principi costituzionali ed i canoni esegetici imprescindibili, quali la certezza del diritto.



A causa dell’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del Covid-19, il Governo italiano ha adottato in pochi mesi una serie di misure urgenti che hanno limitato gli spostamenti della popolazione ed il libero esercizio dell’attività economica al fine di contenere il contagio e tutelare il diritto fondamentale alla salute di cui all’art. 32 Cost.  

L’emanazione in rapida successione di nuove disposizioni, tuttavia, costituisce la base per problemi interpretativi di estrema attualità sia per i cittadini, sia per i professionisti del settore, specialmente quando le norme non sono sufficientemente chiare, né coerenti tra loro ovvero quando le fonti sembrano sovrapporsi. L’osservanza della legge, del resto, dipende anche dalla sua interpretazione e dalla capacità di coloro che ne sono i destinatari di comprenderla secondo il senso letterale della disposizione e, in subordine, secondo la l’intenzione del Legislatore[1]. In questi termini, è evidente che la difficoltà nella identificazione della norma applicabile comporta una difficoltà anche nella sua comprensione divenendo sinonimo di inefficienza del sistema, anche perché minore è la certezza sul significato minore sarà l’effettività.  

Assume, dunque, un ruolo centrale il tema dell’interpretazione delle norme giuridiche, attività attraverso la quale si chiarisce il significato delle disposizioni, ovverosia degli enunciati che insieme costituiscono il testo normativo e che danno vita ad una norma giuridica. La questione non ha mera valenza teorica, ma al contrario presenta un’indubbia rilevanza all’interno del panorama costituzionale proprio in considerazione della sua capacità di coinvolgere gli istituti fondanti dell’Ordinamento democratico moderno: dal sistema delle fonti del diritto al principio di separazione dei poteri, dal tema della certezza del diritto a quello della funzione della Corte Costituzionale. E da altro angolo visuale essa ha un evidente effetto sulla vita quotidiana del cittadino, il quale conformerà il proprio comportamento anche (e probabilmente soprattutto) sulla base delle indicazioni fornitegli dal Governo.  

Invero, attraverso la legislazione emergenziale sono stati introdotti neologismi quasi sconosciuti nel nostro Paese come “lavoro agile” (da tenere distinto dallo “smart working”), “processo da remoto” in ambito processuale e si sono riscoperte nuove fonti normative desuete come il DPCM. Si è parlato di “quarantena” e di “lockdown” e si è dovuto dare un significato tecnico ad espressioni di uso comune, che una volta calate in un (con)testo normativo comportano comprimono o dilatano le libertà dei singoli se interpretate in un senso piuttosto che in un altro. Gli esempi sono molteplici e sotto gli occhi di tutti: prossimità dell’abitazione; affetti stabili; congiunti; assoluta urgenza o comprovate esigenze lavorative; attività motoria, attività sportiva, allenamenti individuali, eccetera.  

Forse consapevole dell’ambiguità e dell’eccentricità dei termini utilizzati, è stato il Governo stesso a fornire i chiarimenti sulla corretta interpretazione delle disposizioni di tutti i provvedimenti in fase di emissione. O in altri casi, ha dovuto chiarire come mai, benché autorizzati, i cittadini non potevano servirsi di alcuni esercizi: fu il caso degli autolavaggi o quello degli strumenti di cancelleria nelle catene della grande distribuzione.  

Ebbene, sul sito istituzionale del Governo e di alcuni ministeri sono, infatti, apparse le Frequently Asked Question (FAQ), pubblicazioni già molto note nell’ambito dell’e-commerce e dei servizi sul web. Si tratta di una serie di risposte alle domande che vengono poste (o che si ritiene potrebbero essere  poste) più frequentemente dagli utilizzatori di un certo servizio e che vengono stilate dallo stesso autore della risposta. Attraverso questo sistema, pertanto, si risponde pubblicamente in una sezione specifica di un sito web in modo da sciogliere i dubbi prima che il singolo utente di una community o un consumatore si facciano avanti con dei dubbi pratici[2]. Attraverso il sistema della domande-risposte il Governo chiarisce il significato delle norme che, così per come sono state scritte, appaiono soggette ad un ventaglio di interpretazioni troppo ampio, con evidenti ricadute sulla vita del singolo[3].  

Quelle fornite nelle FAQ, tuttavia, in alcuni casi non sembrano assumere un semplice ruolo chiarificatore sulla norma, bensì un valore deliberativo e, quindi, di vera e propria prescrizione e di innovazione normativa. O, al più, di fonte di interpretazione autentica. Si pensi al caso più emblematico, che ha suscitato anche un acceso dibattito mediatico, è cioè quello del termine “congiunti”, apparso nel DPCM del 26 aprile all’art. 1 lett. a)[4] che ha inaugurato la c.d. Fase 2.  

Ai sensi del citato DPCM gli spostamenti vengono considerati necessari, e quindi consentiti, allorquando un soggetto intenda recarsi da un congiunto, senza tuttavia dare indicazioni sulla loro identificazione quale soggetti giuridici.

Come ben noto, il termine congiunto così come formulato nel DPCM citato viene introdotto per la prima volta. Infatti, negli altri rami dell’Ordinamento esso viene sempre accompagnato dall’altro termine “prossimo”. Ma anche la nozione di “prossimo congiunto” sfugge ad una definizione unitaria poiché il suo significato – e quindi il suo ambito di applicazione – varia al variare della disciplina di riferimento. Si pensi al concetto di prossimo congiunto nel diritto penale, a quello nell’ambito degli illeciti civili, o ancora in materia tributaria, di privacy e di ordinamento professionale.  

Per cercare di dipanare la matassa, come detto, è intervenuto il Governo.  

Secondo le FAQ: “L’ambito cui può riferirsi la dizione “congiunti” può indirettamente ricavarsi, sistematicamente, dalle norme sulla parentela e affinità, nonché dalla giurisprudenza in tema di responsabilità civile. Alla luce di questi riferimenti, deve ritenersi che i “congiunti” cui fa riferimento il DPCM ricomprendano: i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge).[5] 

E a complicare il quadro ci ha pensato anche la circolare n. 15350/117(2) del 2 maggio Del Ministero dell’Interno, che ha fornito una ulteriore e diversa specificazione del concetto di congiunto. Ai sensi della circolare predetta, infatti: “si evidenzia che l’ambito cui si riferisce tale espressione può ricavarsi in modo sistematico dal quadro normativo e giurisprudenziale.

Alla luce di tali riferimenti, deve ritenersi che la definizione ricomprenda i coniugi, i rapporti di parentela, affinità e di unione civile, nonché le relazioni connotate “da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti.” Mentre, una nota rinvia alla sentenza della Cassazione, sez. IV, 10 novembre 2014, n. 46351. 

Prescindendo dalla considerazione che, a differenza dai paesi di Common Law dove vige il principio dello stare decisis, nei sistemi di Civil Law non sussiste alcun vincolo per il giudice di conformarsi ad un precedente giurisprudenziale e che, pertanto, il riferimento a pronunce della Corte di Cassazione sfugge ad alcuna logica, a parere di chi scrive è evidente che in questo caso la funzione della FAQ è chiaramente di natura deliberativa e non solo informativo-chiarificatrice. Inoltre, il riferimento giuridico indicato nella circolare – che in quanto mero atto interno vincola solo i comportamenti degli organi operativi cui è indirizzata – formalmente non potrebbe sortire alcun effetto sui cittadini, anche se di fatto – invece – potrebbe portare alla tanto assurda, quanto inammissibile, conseguenza di sanzionarli ove non vi si conformino.

Infatti, la circolare e la FAQ connotano il termine congiunti in due modi differenti. Inoltre, le prime divengono regole per l’organo accertatore, cioè colui che irroga la sanzione; mentre le FAQ addirittura forniscono indicazioni molto approfondite (e nelle intenzioni vincolanti) rispetto ai gradi di parentela e che potrebbero, proprio in virtù del richiamo alla giurisprudenza, non coincidere nell’immediato futuro.

Ci si chiede, pertanto, quale sarebbe la natura e la funzione della FAQ e dove si colloca nel sistema delle fonti?  

Un dato è certo: delle FAQ non v’è traccia all’interno dell’Ordinamento giuridico. Sono strumenti che non vengono menzionati nell’art. 1 delle Preleggi al Codice Civile, né si rinviene alcun chiarimento in merito agli atti preparatori, procedurali o sui soggetti che le scrivono e che le pubblicano. Non vengono emanate all’esito di un procedimento predefinito dalla legge e non vengono richiamate da alcuna norma in vigore. 

La mancanza di un fondamento normativo porta a ritenere che, chiaramente, esse non possono costituire fonte del diritto, né primaria, né secondaria con la conseguenza che non possono avere effetti vincolanti per il cittadino. Inoltre, non avendo alcun effettivo valore legale non potrebbero nemmeno derogare ad una norma in vigore qualora si manifestasse un potenziale contrasto tra le indicazioni contenute nelle F.A.Q. ed una legge. Esse, peraltro, non sono nemmeno circolari, dunque non costituiscono un obbligo interno per gli organi amministrativi.

Di conseguenza, difettandone i presupposti legali non costituiscono nemmeno atti di interpretazione autentica. E non potrebbe nemmeno essere altrimenti poiché, come indicato dalla dottrina costituzionale più autorevole[6] e da una certa corrente giurisprudenziale[7] gli atti di interpretazione autentica sono consentiti solo in presenza di “concreti dubbi e oscillazioni interpretative”, in mancanza dei quali si ha piuttosto la sostituzione di una norma ad un’altra. Circostanza, quest’ultima, non attinente all’attuale periodo storico nel quale ancora non si è formato alcun indirizzo giurisprudenziale. 

Il punto, forse, sta nel fatto che la norma per sua natura è generale ed astratta e che non può disciplinare ogni sua possibile applicazione concreta. Questo è, nel sistema della separazione dei poteri, compito del giudice il quale si trova ad applicare la norma così come è stata concepita e rispetto ai suoi possibili significati letterali. Così facendo, invece, ci si scontra con evidenti distorsioni di un sistema che dovrebbe essere connotato da certezza, chiarezza e trasparenza e che, invece, rischia di trasformare mere indicazioni in vere e proprie fonti normative, con le evidenti ricadute in tema di garanzie costituzionali e di applicazione delle medesime. Ad esse potrebbe, attraverso una formale indicazione, darsi una mera funzione di chiarimento delle regole già formate, senza alcun carattere vincolante, che possa indirizzare in via assolutamente generale i comportamenti dei singoli.

Credits:

Avv. Giuseppe Mangiameli
Associate
Attorney Criminal Law


[1] Il riferimento è all’art. 12 delle Disposizioni sulla Legge in Generale o disposizioni preliminare al Codice Civile (c.d. Preleggi).  

[2] (I classici esempi riguardano i tempi e le modalità di consegna da parte dei corrieri di prodotti acquistati on line, o le procedure per ottenere dei resi; o ancora l’assistenza telefonica, eccetera).

[3] È bene evidenziare che alle FAQ governative si sommano anche quelle regionali pubblicate a seguito dell’emanazione delle delibere regionali applicative dei DPCM che, a loro volta, possono contenere disposizioni più restrittive rispetto a quelle nazionali.

[4]Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 sull’intero territorio nazionale si applicano le seguenti misure:

a) sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie...” 

[5] http://www.governo.it/it/faq-fasedue.

[6] G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale, I, Torino, 1990, 91.

[7] Ex multis: Corte Cost., sentenza n. 376/1995; n. 233/1988 e n. 187/1981.