Il sequestro preventivo penale finalizzato alla confisca prevale rispetto ai diritti di credito sui beni del fallito. Alcune considerazioni sulla sentenza n. 3575/2022 della Terza Sezione della Corte di Cassazione.

Credits: Avv. Giuseppe Mangiameli


Abstract 

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul rapporto tra sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 321 c.p.p. e dichiarazione di fallimento, stabilendo che è irrilevante il momento in cui essa interviene, poiché la misura ablatoria – dato il suo carattere di obbligatorietà – prevale sui diritti di credito gravanti sui beni del fallito.



Premessa

Con la recentissima sentenza n. 3575/2022, depositata il 1° febbraio 2022, la Terza Sezione della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema – già oggetto di ampio dibattito e contrasto giurisprudenziale – del rapporto che intercorre tra la misura cautelare del sequestro preventivo e la procedura fallimentare, quando interviene la dichiarazione di fallimento. Nel rigettare il ricorso della curatrice del fallimento, la Corte ha confermato la misura cautelare del sequestro disposta dal GIP di Napoli ed impugnata in sede cautelare, sposando, dunque, l’orientamento che ritiene prevalenti le disposizioni penalistiche su quelle fallimentari. Anche con riferimento alle regole del Codice della crisi e dell'insolvenza. 

I motivi di ricorso

Come anticipato, il ricorso era stato presentato dalla curatrice del fallimento e aveva ad oggetto il diniego della revoca del sequestro penale di beni del fallimento emesso dal giudice cautelare d’appello in violazione delle disposizioni previste dal D.Lvo 74/2000, e dalla Legge Fallimentare[1].

Secondo la ricorrente, infatti, la più recente giurisprudenza in materia è orientata nel senso di ritenere ineseguibile il sequestro il sequestro preventivo dei beni della società finalizzato alla confisca diretta del profitto, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento. Tale principio, affermato anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 45936/2019[2], si applicherebbe poiché, con il fallimento, si costituisce l’esclusivo potere della curatela e del Tribunale Fallimentare e, dunque, sarebbe inapplicabile la misura ablatoria. 

In difetto, ammettendo cioè la possibilità del sequestro sui beni della procedura fallimentare, ai fini della successiva confisca, ci si troverebbe innanzi alla violazione delle disposizioni di cui agli art. 42 L.F.[3], del principio della par condicio creditorum ex art. 52 L.F., nonché delle regole previste dal Codice Civile sulla graduazione dei crediti.

Peraltro, osserva la ricorrente che la somma sulla quale si era costituito il sequestro era stata depositata sul conto corrente della procedura, di tal ché non si sarebbe potuta considerare alla stregua del profitto di reato, ma – piuttosto – somma derivante dal recupero da parte del creditore per assicurare il soddisfacimento dei creditori insinuati. In questi termini, si sarebbe verificata la violazione dell’art. 12 bis D.Lgs 74/2000 che esclude il sequestro di beni appartenenti a terzi. E secondo la ricorrente tale sarebbe la qualifica del fallimento.

Il Tribunale, seppure in sede cautelare, ha seguito l’orientamento esegetico opposto[4] in materia, per il quale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto nei reati tributari, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene a seguito di qualsiasi procedura concorsuale, attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro.

Pertanto, il conflitto tra il vincolo imposto nella procedura fallimentare e quello discendente dal sequestro (penale) deve essere risolto in favore della seconda misura, giacché l’esigenza di inibire l’utilizzazione del bene oggettivamente e intrinsecamente pericoloso (quale è il profitto del reato) in vista della sua definitiva ablazione prevale sulle ragioni creditorie.  

La soluzione della Corte

La Terza Sezione della Corte di Cassazione, nel dichiarare infondato il ricorso ed aderendo ai principi giurisprudenziali ivi richiamati ha confermato che:

  • Il sequestro finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale, attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro.
  • L’art. 12 bis citato non trova applicazione, poiché l’unico limite alla confiscabilità è quello dell’appartenenza del bene a persona estranea dal reato, circostanza quest’ultima che non applicabile al caso di specie.
  • In caso di conflitto tra i due vincoli (sequestro/fallimento) secondo la Corte non rileva il momento in cui è intervenuto il fallimento, cioè se prima o dopo la misura cautelare, bensì al giudice è demandato il compito di valutare a quale tra le confliggenti esigenze di tutela debba dare preminenza. E ciò, a margine, a prescindere dal potere per il curatore di impugnare i provvedimenti cautelari. La legittimazione ad agire, infatti, non investe anche il descritto tema del rapporto tra i provvedimenti.
  • Tale principio di prevalenza, è – inoltre – codificato nel Codice Antimafia agli art. 63 e 64, nonché nel nuovo Codice della crisi d’impresa la cui vigenza differita al maggio 2022 non incide sulla sua applicazione anche al caso sottoposto al vaglio della Corte.


La sentenza è scaricabile a questo link.

[1] Di seguito per brevità anche solo 2L.F.”.

[2] in Cassazione Penale 2020, 9, 3316.

[3] a mente del quale, intervenuta la sentenza di fallimento, il fallito viene privato – da quella data – dell’amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti nella massa fallimentare,

[4] Ex multis, Cass. Pen., sez. III, n. 15776/20 in Guida al diritto 2020, 36, 93.


Avv. Giuseppe Mangiameli
Associate
Attorney Criminal Law