La confisca per equivalente del profitto del reato nelle ipotesi di cui all’art. 10 D.Lgs 74/2000 in un recente arresto della Corte di Cassazione



ABSTRACT

Con la sentenza n. 30934/2020 la Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento giurisprudenziale relativo alla confisca del profitto di reato, per vero già consolidato da tempo, nel caso di consumazione del reato di occultamento o distruzione di documenti contabili ex art. 10 D. Lgs 74/2000, anche quando detto profitto concorra e consegua a precedenti condotte dichiarative penalmente irrilevanti, ma costituenti illeciti amministrativi.


Nell’accogliere il ricorso del Procuratore del Tribunale di Firenze, la sezione III della Corte di Cassazione ha confermato un orientamento interpretativo consolidato da tempo secondo cui l’art. 12 bis D.Lgs 74/2000, in tema di confisca nei reati tributari, trova applicazione anche nell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 10 D. Lgs 74/2000, allorquando l’organo accertatore sia riuscito a ricostruire il reddito ed il volume d’affari e, dunque, le imposte dovute. In tali ipotesi, infatti, si configurerebbe un vantaggio economico conseguente ad una condotta illecita, quantificabile e suscettibile di confisca – anche per equivalente – quale profitto di reato[1]. E ciò anche nell’ipotesi in cui la condotta delittuosa di cui all’art. 10 d.lgs. 74 del 2000 sia commessa in relazione all’accertamento di un illecito fiscale non costituente reato, ma mero illecito amministrativo.

Secondo la giurisprudenza dominante[2], richiamata anche dalla sentenza qui in commento, il profitto è identificabile nel vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione di un illecito, anche in termini di risparmio di spesa[3]. Nel caso, poi, di somme di denaro, esso può consistere anche nei beni acquistati con l’utilizzo di tali somme quando l’impiego del denaro sia soggettivamente riconducibile all’autore del reato[4].

Applicando il principio alla fattispecie di reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000, posta a tutela dell’attività di verifica fiscale sull’osservanza degli obblighi nei confronti del Fisco, occorre considerare che la stessa punisce chi, al fine di evadere le imposte, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

Il reato è, dunque, un reato di pericolo concreto[5], a dolo specifico[6], che sanziona tutte le condotte, finalizzate all’evasione, che impediscano od ostacolino l’accertamento di un’obbligazione tributaria ed il conseguente avvio della procedura di esazione del debito erariale.

Sostiene la Corte di Cassazione che “quando non si riesca a ricostruire, neppure in parte, il reddito ed il volume degli affari, non è possibile individuare, nell’an e, comunque, nel quantum, un’eventuale imposta dovuta, sicché non potrà in tal caso essere determinato un illecito profitto suscettibile di confisca – diretta o per equivalente – conseguente alla condotta criminosa.” Viceversa, quando, il volume d’affari ed il reddito dell’ente risultano individuabili ed individuati “non v’è ragione di non applicare la regola generale che prevede la confisca del profitto del reato, anche nella forma per equivalente. Detto profitto, invero, consiste nell’indebito vantaggio economico commisurato al debito d’imposta – eventualmente maggiorato di interessi e sanzioni dovuti sino al momento della commissione del fatto criminoso – altrimenti ignoto e di cui la condotta di occultamento o distruzione dei documenti contabili ha ostacolato la scoperta così consentendo al contribuente di evitarne l’accertamento e l’esazione.”

Il punto di interesse della decisione in commento, che come anticipato riprende un filone giurisprudenziale già consolidato, risiede nel fatto che tale conclusione non è invalidata da precedenti condotte dichiarative illecite (siano essere di rilevanza penale o meramente amministrativo-tributarie). Si tratta, invero, di distinte condotte distinte che concorrono[7] e che, fermo il divieto di duplicazione della confisca, possono astrattamente comportare un duplice e diverso illecito profitto nel senso più sopra delineato. Si pensi, al rappresentante legale dell’ente che, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto, ometta di presentare la dichiarazione i.v.a. per un valore inferiore alla soglia di rilevanza penale e, al contempo, sottragga la documentazione contabile utile per la ricostruzione del volume d’affari dell’ente medesimo.

In tali ipotesi, il debito tributario non dichiarato (che non costituisce profitto di reato confiscabile quando la fattispecie dichiarativa penale non sia ravvisabile per mancato superamento della soglia di euro cinquantamila) diviene nella sostanza un vantaggio illecito direttamente conseguente al delitto di cui all’art. 10 D. Lgs. 74/2000, poiché il contribuente ha tenuto la fraudolenta condotta di distruzione od occultamento idonea ad ostacolare l’attività degli organi accertatori. E, quindi, scatta la confisca per equivalente.

Credits:
Avv. Giuseppe Mangiameli
Associate
Criminal Law


[1] Recentemente in questi termini anche Cass. Pen., sez. III, n. 166/2020.

[2] Ex multis: Cass. Pen., SS.UU. n. 1811/1992, Bissoli.

[3] Cass. Pen., Sez. VI, n. 3635/2013, Riva Fi.re s.p.a.

[4] Cass. Pen., SS. UU., n. 10280/2007, Miragliotta, secondo cui, in tal caso, l’acquisto di beni altro non è che la mera trasformazione di un profitto derivante dal reato.

[5] Cass. Pen., Sez. III, n. 46049/2018, Carestia, Rv. 274697; Cass. Pen., Sez. III, n. 20786/2002, Russo, Rv. 221615) a dolo specifico

[6] Cass. Pen., Sez. III, n. 51836/2018, M., Rv. 274110.

[7] Si ammette il concorso tra delitti in materia dichiarativa con il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili. Cfr. Cass. Pen., sez. III, n. 32054/2013, Mutari, Rv. 256895 sul concorso tra art. 10 ed art. 5 D. Lgs 74/2000.