La disciplina antiusura si applica anche agli interessi di mora: la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione Civile nella sentenza del 18 settembre 2020, n. 19587


ABSTRACT

Il dibattito sul rapporto tra interessi di mora e disciplina antiusura giunge al capitolo conclusivo con la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione Civile che ha sancito, con la sentenza del 18 settembre 2020, n. 19597, che anche l’interesse moratorio deve sottostare alle regole sul superamento del tasso soglia di usura, intendendo la normativa sanzionare anche la promessa di qualsiasi somma usuraria dovuta in relazione ad un accordo contrattuale.



Il tema dell’applicabilità delle norme antiusura[1] agli interessi di mora pattuiti dalle parti è stato oggetto di decisioni giurisprudenziali in netta contrapposizione tra loro, che hanno spinto il primo presidente della Corte di Cassazione Civile a rimettere[2] la questione alle Sezioni Unite.

In particolare, il quesito principale riguardava la computabilità di tali somme, dovute a titolo di interesse di mora in un contratto di finanziamento bancario, nel costo complessivo dovuto dal debitore al fine di valutare la liceità del saggio praticato.

Sull’applicabilità della normativa antiusura a tale tipologia di interessi sussisteva un contrasto giurisprudenziale manifestatosi in sede civile, penale e dottrinale, che nel corso degli anni ha visto prevalere sia soluzioni di maggior rigore interpetativo, che ne restringevano la portata ai soli interessi corrispettivi, che altre esegesi estensive, improntate a logiche equitative e slegate dal dato letterale che, viceversa, ritenevano applicabile la suddetta disciplina ad ogni tipologia di interesse.

Secondo la tesi restrittiva l’inapplicabilità di tali interessi derivava principalmente dall’interpretazione letterale. Si pensi, ad esempio, all’art. 644 c.p. che richiama espressamente il concetto di interessi dati o promessi in corrispettivo di una prestazione di denaro ed esclude quelli che sorgono come effetto derivante da una diversa causa, ad esempio dall’inadempimento.

Inoltre, la nozione di usura, in particolare in senso penalistico, ha natura oggettivo-normativa, cioè il fatto tipico sussiste solo allorché vi sia il superamento di un tasso soglia legale determinato attraverso la rilevazione del TEGM[3]. Tale calcolo non si applicherebbe agli interessi di mora, bensì solo a quelli corrispettivi, in virtù della differente natura e, soprattutto, della diversa causa e della funzione che svolgono.

La natura giuridica delle due tipologie di interessi ha rappresentato il tema centrale dell’indagine esegetica e conduce a soluzioni differenti in base all'inquadramento giuridico che si dà agli uni e agli altri.

Invero, gli interessi moratori configurano di fatto un risarcimento a fronte dell’inadempimento e vanno corrisposti anche a prescindere dalla prova del danno patito dal creditore (se il creditore non prova di aver subito un danno). Dunque, gli interessi di mora compensano il creditore per una perdita subita. Diversi, invece, sono gli interessi corrispettivi, i quali costituiscono una remunerazione per colui che ha erogato il capitale, “avuto riguardo alla normale produttività della moneta[4]. Tale diversa funzione impedisce, secondo un primo orientamento, l’applicazione della normativa antiusura nel caso di interesse con funzione risarcitoria.

Sulla scorta di tali premesse una parte di giurisprudenza (per lungo tempo prevalente) ha, inoltre, precisato che, nel momento in cui si realizza l’inadempimento, il cumulo tra le due tipologie sarebbe addirittura un falso problema, in quanto: “Una volta costituito in mora, gli interessi che il cliente è tenuto a corrispondere hanno tutti natura moratoria. Non vi è dubbio che gli interessi corrispettivi non possano essere richiesti insieme a quelli moratori".[5]

L’opposto orientamento, partendo anch’esso dalla lettera delle norme, sottolinea che la legge non distingue tra tipi di interessi e, per vero, in alcune ipotesi ci si riferisce espressamente di pattuizione a qualsiasi titolo. Specialmente con riferimento all’ambito penalistico, l’art. 644 c.p. non differenzierebbe le due tipologie di interessi.

Nel ritenere che anche questi interessi debbano sottostare ai limiti antiusura, occorre avere riguardo a quanto indicato nel D.L. 394/2000[6], Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura.

La norma testé citata, infatti, stabilisce chiaramente all’art. 1 che: “Ai fini dell'applicazione dell'art. 644 del codice penale e dell'art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.” Si osservi che l'inciso “a qualunque titolo” è collocato dopo “promessi o convenuti” e non immediatamente dopo il termine “interessi”: per cui, anche secondo l’interpretazione autentica di tale disposizione, il testo è da leggere nel senso che l'inciso si riferisca al titolo in forza del quale l'obbligazione accessoria è convenuta e non alla natura degli interessi.

Ma l'argomento determinante è rappresentato dall'esplicito riferimento all'applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori, contenuto nella relazione di accompagnamento alla stessa legge di interpretazione autentica: “L'articolato fornisce al comma 1 l'interpretazione autentica dell'articolo 644 del codice penale e dell'articolo 1815, comma secondo, del codice civile. Viene chiarito che, quando in un contratto di prestito sia convenuto il tasso di interesse (sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio), il momento al quale rifarsi per verificarne l'eventuale usurarietà sotto il profilo sia penale che civile, e quello della conclusione del contratto, a nulla rilevando il pagamento degli interessi.”

E la giurisprudenza[7], anche di merito[8], che ne è seguita si è adeguata a tale interpretazione: “In effetti, se è vero che l'art. 644 c.p., ai fini della valutazione dell'usura, nel fare riferimento al "corrispettivo", sembra escludere la rilevanza degli interessi moratori, che costituiscono non un corrispettivo ma il risarcimento del danno per l'inadempimento, è anche vero che il comma 4. della medesima disposizione, pur senza citare gli interessi moratori, risulta tendenzialmente onnicomprensivo, in quanto impone di tenere conto "per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito."; “a ciò deve aggiungersi che il legislatore, nella norma di interpretazione autentica dell'art. 1 D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito, con modificazioni, in Legge 28 febbraio 2001, n. 24, ha poi fatto espresso riferimento agli interessi pattuiti "a qualunque titolo", con ciò richiamando anche quelli pattuiti a titolo di interessi di mora.”

La decisione qui in commento si pone, dunque, come spartiacque ed apre nuovi scenari in un’ottica maggiormente protettiva degli interessi del soggetto debitore ed è sorretta – come afferma la Corte di Cassazione – da un “criterio guida costituito dalla ratio del divieto di usura e dalle finalità che con esso si siano intese perseguire.”

La ratio della normativa antiusura, infatti, sanziona la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria dovuta in relazione al contratto. In questi termini il Collegio ha ritenuto che il concetto di interesse usurario e la relativa disciplina repressiva non possano dirsi estranei all’interesse moratorio.

Credits:
Avv. Fabrizio Sardella
Founder Name Partner
Criminal Law 231/2001 Compliance

Avv. Giuseppe Mangiameli
Associate
Attorney Criminal Law


[1] E segnatamente: art. 1815 c.c.; art. 644 c.p.; L. 108/1996; art. 2 D.L. n. 394/2000 convertito dalla L. n. 24/2001, nonché i relativi D.M., in particolare il D.M. 22 marzo 2002.

[2] Cass. Civ. sez. I, n. 26946/2019.

[3] Tasso Effettivo Globale Medio.

[4] Cass. Civ., SS. UU., n. 19587/2020, in Diritto & Giustizia 2020, 21 settembre.

[5]  Cass. Civ., Sez. III, n. 26286/2019, in Giustizia Civile Massimario 2019.

[6] Decreto convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 2001, n. 24 (in Gazz. Uff., 28 febbraio 2001, n. 49).

[7] Tribunale Siena, 07/11/2019, (ud. 30/10/2019, dep. 07/11/2019), n.1124, in Redazione Giuffrè 2020. Conf. a: Cass. Civ., sez. III, n. 27442/2018, in Redazione Giuffrè 2018; Cass. Civ., sez. I, n. 350/2013, in Diritto & Giustizia 2013.

[8] Tribunale di Roma, Sez. XVII, 16100/2019 e Tribunale di Milano, Sez. VI, 3207/2019.