L’applicabilità del D.lgs. n. 231/01 agli enti stranieri privi di sede in Italia


ABSTRACT: 
Con la sentenza n. 11626/2020 la Corte di Cassazione ha affermato che l’ente straniero è responsabile ex D.lgs. 231/01 e risponde dei reati presupposto per i fatti commessi nel suo interesse o vantaggio da soggetti che rivestano funzioni apicali o dirigenziali o che ne siano dipendenti, a dal luogo ove si trova la sua sede principale e dunque anche in assenza di una sede in Italia. Il Giudice di Legittimità ha, altresì, sostenuto l’irrilevanza della nazionalità straniera dell’ente ai fini della procedibilità in ordine all’illecito amministrativo, ritenendo che non vi sia alcuna ragione per la quale le persone giuridiche debbano essere soggette ad una disciplina speciale rispetto a quella vigente per le persone fisiche, tali da sfuggire ai principi di obbligatorietà e di territorialità della legge penale.


La sentenza della Cassazione Penale, sezione VI, 7 aprile 2020 n. 11626, affronta il delicato tema, dibattuto in dottrina e in giurisprudenza di merito, dell'applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 231/2001 agli enti aventi sede all'estero.

Principio di diritto

La Suprema Corte ha affermato il principio di diritto secondo il quale la persona giuridica è chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo derivante da un reato presupposto per il quale sussiste la giurisdizione nazionale commesso dai propri legali rappresentanti o soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza in quanto 1’ente è soggetto all’obbligo di osservare la legge italiana e, in particolare, la legge penale, a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove abbia la propria sede legale ed indipendentemente dall’esistenza nello Stato di appartenenza di norme in materia analoghe al D.lgs. 231/2001 anche con riferimento alia predisposizione e all’efficace attuazione di modelli di organizzazione, gestione atti ad impedire la commissione di c.d. reati presupposto.

      I.         La vicenda al vaglio dei giudici di legittimità

La decisione della Corte di Cassazione interviene a chiusura di una vicenda in cui, all’esito dei due gradi di giudizio di merito, due Società facenti parte di un gruppo olandese, aventi entrambe la propria sede principale all’estero, erano state condannate per l’illecito amministrativo previsto agli artt. 5 e 25 del D. Lgs. n. 231/01, in relazione ad una serie di condotte corruttive consumate in Italia dai rispettivi vertici aziendali nell’interesse del gruppo societario.

Tra i vari motivi di censura, i ricorrenti hanno lamentato l'erroneo riconoscimento della giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria italiana, trattandosi di condotte commesse in Italia da parte di società aventi sede principale all'estero. A sostegno della propria doglianza, i ricorrenti argomentavano che non fosse possibile "muovere un rimprovero all'ente derivante da una "colpa di organizzazione" se non nel luogo ove esso abbia il suo centro decisionale" con la conseguenza che, non avendo gli enti imputati una effettiva operatività sul territorio italiano, dove svolgevano unicamente un'attività prettamente formale, la giurisdizione per l'accertamento dovesse essere radicata all'estero, ove si era verificata la lacuna organizzativa.

  II.         Le ragioni della decisione

La questione giuridica posta all’attenzione della Corte attiene alla possibilità di invocare le disposizioni del D.Lgs. n. 231/2001 nei confronti di enti stranieri che non abbiano alcun collegamento territoriale con lo Stato Italiano, per affermarne la responsabilità amministrativa correlata al mancato impedimento di un fatto di reato presupposto agli stessi soggettivamente ascrivibile, in quanto commesso in Italia da soggetti apicali o sottoposti all’altrui direzione o vigilanza, nel loro interesse o a loro vantaggio.

Occorre premettere che, tra le ipotesi di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, il legislatore delegato si è limitato a contemplare espressamente solo la fattispecie in cui uno dei reati del “catalogo 231” venga commesso all’estero da soggetti riconducibili ad un ente avente la propria sede principale nel territorio italiano, lasciando priva di copertura l’ipotesi speculare di reati commessi all’interno dei confini nazionali da parte di Società straniere.

Pertanto, qualora un ente italiano, per il tramite di soggetti qualificati, realizzi integralmente il fatto di reato in territorio straniero, l’ipotesi è espressamente presidiata dal Decreto tramite il richiamo operato dall’art. 4[1] alla normativa dettata per i reati commessi all’estero dalle persone fisiche, di cui agli artt. 7, 8, 9 e 10 del codice penale.

Ne consegue che, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle disposizioni su citate e dell’ulteriore vincolo che nei confronti dello stesso non si sia già attivata la giurisdizione dello Stato di appartenenza, l’ente collettivo sarà soggetto alla legge italiana e sarà dunque onerato della predisposizione di Modelli di Organizzazione e Gestione idonei a prevenire anche la commissione di quei reati derivanti dall’attività d’impresa esercitata fuori dai confini nazionali.

Diversamente, la fattispecie simmetrica della perseguibilità e sanzionabilità degli enti stranieri per reati commessi in Italia mediante le norme del D. Lgs. n. 231/2001 non è espressamente disciplinata.

E’ necessario, dunque, chiedersi se i criteri di radicamento della giurisdizione per il reato della persona fisica (locus e tempus commissi delicti), da un lato, e quelli di ascrizione del medesimo alla persona giuridica, dall’altro, debbano ritenersi o meno coincidenti.

Sul punto i giudici di legittimità giungono ad affermare che è nel luogo di commissione del reato presupposto che si consuma anche l’illecito amministrativo della persona giuridica, con la conseguente attrazione, in capo all’Autorità nazionale competente per l’accertamento del reato presupposto, del sindacato in ordine all’illecito amministrativo dell’ente collettivo e del potere di irrogare la relativa sanzione.

La Corte perviene a tale conclusione sulla base di una serie di argomentazioni di seguito sinteticamente esposte.

In primo luogo, l'art. 1, co. 2, d.lgs. n. 231/2001 definisce l'ambito applicativo delle norme senza delineare alcuna distinzione fra enti eventi sede in Italia e enti aventi sede all'estero.

In secondo luogo, viene precisato che le disposizioni del decreto in parola danno luogo ad una forma di responsabilità che è sì autonoma, ma pure "derivata dal reato, di tal che la giurisdizione va apprezzata rispetto al reato-presupposto”; non rileva quindi, ai fini del radicamento della giurisdizione “che la colpa in organizzazione e dunque la predisposizione di modelli non adeguati sia avvenuta all’estero, né che il centro decisionale dell’ente si trovi all’estero e che la lacuna organizzativa si sia realizzata al di fuori dei confini nazionali”.

Si richiamano, poi, i principi di obbligatorietà e territorialità della legge penale, sanciti, con riferimento alle persone fisiche, agli artt. 3[2] e 6, co. 2[3] del codice penale, i quali devono necessariamente valere anche per le persone giuridiche, con la conseguenza che anche gli enti collettivi, laddove operino nel territorio italiano sono tenuti a conformarsi e ad orientare le proprie condotte in funzione della legge nazionale. Pertanto,  gli stessi avranno l’obbligo di adeguarsi alla locale disciplina prevenzionistica di cui al D.Lgs. n. 231/01 e di porre in essere gli adempimenti di compliance aziendale richiesti in conformità del citato decreto.

La soluzione in parola troverebbe conforto nell’art. 4 che, nel disciplinare la situazione opposta in cui il reato-presupposto sia stato commesso all'estero nell'interesse o a vantaggio di un ente avente la sede principale in Italia, assoggetta l'ente alla giurisdizione nazionale nei casi e alle condizioni previste dagli artt. 7, 8, 9 e 10[4] c.p., purché nei suoi confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto, realizzando una parificazione rispetto all'imputato persona fisica.

Dunque, si sostiene che, se la disciplina si applica agli enti italiani in relazione a reati commessi all’estero, a maggior ragione andrà applicata nei confronti di reati commessi interamente in Italia da parte di soggetti riconducibili a Società straniere.

Di conseguenza, la nazionalità dell’ente sarebbe irrilevante ai fini della procedibilità dell’illecito amministrativo anche in considerazione del fatto che non vi sarebbe alcuna ragione per ritenere che le persone giuridiche siano soggette ad una disciplina speciale rispetto a quella vigente per le persone fisiche che le sottragga all’applicazione degli ordinari principi di obbligatorietà e territorialità della legge penale ex artt. 3 e 6 c.p.

Diversamente opinando ci si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, realizzando una ingiustificata disparità di trattamento tra la persona fisica straniera, pacificamente, soggetta alla giurisdizione nazionale in caso di reato commesso in Italia, e la persona giuridica straniera, in caso di reato-presupposto commesso in Italia.

Da ultimo, come ulteriore argomento a supporto dell’applicazione extraterritoriale del Decreto 231, la Corte richiama la particolare disposizione di cui all’art. 97-bis del D. Lgs. n. 385/1993, relativo agli illeciti nel settore bancario e creditizio, con cui il legislatore ha espressamente esteso la responsabilità per l'illecito amministrativo dipendente da reato "alle succursali italiane di banche comunitarie o extracomunitarie", considerando dunque, ai fini della responsabilità ex decreto n. 231, l'aspetto dell'operatività sul territorio nazionale a discapito di quello della nazionalità o del luogo della sede legale e/o amministrativa principale dell'ente.

Da tale interpretazione, la Corte trae l’implicita conferma della possibilità di assoggettare alle norme e alla giurisdizione italiana enti stranieri che, pur costituiti all’estero, abbiano comunque esercitato la propria attività d’impresa entro i confini giuridici nazionali.

 III.         Conclusioni

Con la decisione in commento può, quindi, ritenersi consolidato l'orientamento, che già aveva preso piede nelle corti di merito, secondo cui la commissione del reato presupposto in territorio italiano radica la giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria italiana non solo con riferimento alla persona fisica autrice del reato, ma anche con riferimento all'ente nel cui interesse o a vantaggio del quale tale reato è stato commesso, a nulla rilevando il fatto che quest'ultimo avesse la propria sede principale in un altro Paese, né che la legge di tale Paese non preveda oneri di carattere organizzativo-preventivo analoghi a quelli ex d.lgs. n. 231/2001.

Tale soluzione ermeneutica è volta a prevenire i potenziali effetti distorsivi che deriverebbero, sotto il versante concorrenziale, dall’accoglimento della tesi contraria all’inclusione dagli enti esteri tra i soggetti destinatari della disciplina delineata dal D. Lgs. n. 231/01.

L'inapplicabilità alle imprese straniere delle regole e degli obblighi previsti dal decreto ed il conseguente esonero da responsabilità amministrativa realizzerebbe infatti, un'indebita alterazione della libera concorrenza rispetto agli enti nazionali, consentendo alle prime di operare sul territorio italiano, dislocandovi un semplice stabilimento della propria sede principale situata oltre confine, senza dover sostenere i costi necessari per la predisposizione e l'implementazione di idonei modelli organizzativi, oltre a pregiudicare l’efficacia dell’intero sistema della responsabilità amministrativa dell’ente.

Credits:

Dott.ssa Arcangela Lomurno

Junior Associate

Criminal Law


[1]  Art. 4, com. 1 “Reati commessi all’estero”, D. Lgs. n. 231/01:“Nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono anche in relazione ai reati commessi all’estero, purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto”.

[2] Art. 3 “Obbligatorietà della legge penale” c.p.:  com.1” La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale. Com.2” La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all'estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale”.

[3]  Art. 6 “Reati commessi nel territorio dello Stato” c.p.: com.1 “Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana. Com.2” Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione o l'omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l'evento che è la conseguenza dell'azione od omissione”.

[4] Le disposizioni disciplinano le diverse ipotesi in cui la legge penale italiana si applica anche ai reati commessi all’estero da parte del cittadino o dello straniero.