L’Autoriciclaggio e l’utilizzo di criptovalute: un’analisi della Cassazione

Credits: Avv. Giuseppe Taddeo

ABSTRACT

 La Suprema Corte, nella pronuncia emessa dalla II Sezione avente n. 2868 del 07.10.2021, ha avuto modo di affermare che il trasferimento di denaro provento di attività delittuose attuato nei confronti di società estere dedite ad effettuare professionalmente il cambio della valuta monetaria avente corso corrente a quella elettronica, nel caso di specie Bitcoin, integra il reato di autoriciclaggio.



Il Caso di specie

La sentenza trae le mosse dal caso di un soggetto indagato per il reato (a monte) di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Nel corso delle indagini preliminari, il Tribunale disponeva il sequestro preventivo, anche per equivalente, del profitto del reato di autoriciclaggio.  

L’indagato, nell’ipotesi accusatoria, avrebbe trasferito i proventi della propria attività delittuosa, mediante l’utilizzo di carte prepagate intestate diffusamente a sé stesso (o comunque a svariati soggetti prestanome), a società estere impegnate nella compravendita e nell’attività di cambio di criptovalute che sarebbero poi state reinvestite per il pagamento del sito internet attraverso il quale venivano pubblicizzate le attività illecite delle prostitute.

Il fulcro della questione giuridica sottoposta agli Ermellini consiste nello stabilire se il trasferimento di valuta avente corso corrente e provento di attività delittuosa a società estere che si interpongono (quali exchanger) nell’acquisto di criptovalute ponga un ostacolo alla concreta individuazione del soggetto beneficiario finale delle transazioni e dunque della valuta elettronica convertita ma avente origine illecita.

Il delitto di Autoriciclaggio - Art. 648 ter 1 c.p.  

L’autoriciclaggio è stato introdotto dal sistema giuridico italiano nel 2014 e punisce chi impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di un reato.

In seguito all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 195/2021 il legislatore ha ampliato la portata applicativa della norma inglobandovi anche i proventi di delitti colposi o comunque anche quando l’autoriciclaggio abbia ad oggetto denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto nel massimo ad un anno o nel minimo a sei mesi.

La Giurisprudenza ha individuato dei criteri idonei a delimitare il perimetro delle condotte astrattamente sussumibili nel delitto di autoriciclaggio: innanzitutto la condotta tenuta dal reo deve essere idonea ad ostacolare concretamente la provenienza da reato dei beni oggetto della condotta incriminata e, inoltre, tali beni devono essere destinati ad attività economiche, finanziarie o comunque imprenditoriali.

È espressamente prevista una clausola di non punibilità al comma 4 allorquando i beni testé individuati vengano destinati ad attività squisitamente personale.

Il legislatore ha voluto sanzionare, quindi, solo le condotte dotate di una specifica connotazione ingannatoria grazie alla quale gli operatori del settore non siano in grado di ricostruire, con la diligenza necessaria alle verifiche sulla ricostruzione del percorso dei beni oggetto di trasferimento, l’origine delittuosa o meno di questi ultimi.

La tesi difensiva

La difesa dell’indagato evidenziava che il Tribunale non avesse dato adeguata motivazione sul perché l’acquisto di criptovaluta costituirebbe atto idoneo ad ostacolare l’identificazione della provenienza dei beni.

 In particolare la difesa sottolineava che i soggetti impegnati nelle operazioni di acquisto e trasferimento di valute elettroniche sarebbero tutti perfettamente individuabili grazie alla tecnologia conosciuta come blockchain.

Il difensore, nel proprio ricorso, tentava di evidenziare una possibile applicazione della causa di non punibilità di cui al comma 4 dell’art. 648ter 1 c.p.:

la tesi difensiva si attestava sulla capacità della tecnologia blockchain di poter escludere l’anonimato delle transazioni e renderle riferibili al singolo utente poiché tutte le transazioni vengono registrate su una sorta di libro contabile elettronico, quindi per tale via si sosteneva che la condotta dell’indagato non avesse in alcun modo reso più complessa l’identificazione della provenienza dei beni.

La cosiddetta blockchain, più in dettaglio, è una tecnologia che attraverso una catena di blocchi contenenti le transazioni con il consenso (che è necessario per ottenere la validazione della modifica del registro) distribuito su tutti i nodi della rete e tutti i nodi possono partecipare alla validazione delle transazioni, consente di individuare con ragionevole certezza le parti di una transazione.

Più atecnicamente, la blockchain è un registro di contabilità condiviso e immutabile che facilita il processo di registrazione delle transazioni e la tracciabilità dei beni in una rete commerciale.

Tutto può essere scambiato su una rete blockchain ed è praticamente tutto individuabile.  

La tesi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, dal canto suo, dichiarava il ricorso infondato e confermava la misura cautelare in fieri.

Per i Giudici le attività poste in essere dal prevenuto e consistenti nella predisposizione di bonifici in euro (provenienti da postepay intestate a quest’ultimo o ad altri soggetti) e provento di attività delittuosa destinati a società estere dedite professionalmente al cambio di valuta ordinaria in criptovalute che poi venivano utilizzate dal ricorrente per finanziare la pubblicizzazione delle attività delle prostitute tramite internet, ostacolavano – di fatto- l’identificazione della provenienza illecita del denaro.

Gli Ermellini ricordavano che ai fini della compiuta integrazione del delitto di autoriciclaggio sia sufficiente una qualunque attività idonea ad ostacolare gli accertamenti sulla provenienza lecita o meno del denaro, beni o altre utilità reimpiegata.

La condotta dell’indagato, mediante l’acquisto di criptovalute tramite società estere, secondo la ricostruzione operata dai Giudici della Suprema corte, è idonea ad integrare il reato di autoriciclaggio, poiché la condotta tenuta dal ricorrente, oltre a porre un serio ostacolo alla identificazione di quest’ultimo come effettivo beneficiario delle transazioni e proprietario dei bitcoin acquistati tramite le società exchanger di criptovalute, ha sicuramente carattere finanziario e non può in alcun modo ritenersi quale acquisto fatto in proprio dall’indagato, poiché trattasi di un’attività di cambio valuta regolamentata in Italia[1] ed affidata a soggetti iscritti in appositi registri.

L’indagato, in tal modo, avrebbe ottenuto lo scopo di rendere più difficile risalire alla titolarità dei bitcoin (poi reinvestiti nella pubblicità di attività illecite) in capo al ricorrente acquistati da società estere che fungevano da exchanger.

Secondo la Cassazione, quindi, non è necessario che le operazioni di trasferimento di denaro siano completamente oscurate dall’anonimato ma, viceversa, sarebbe sufficiente ostacolare gli accertamenti sulla provenienza del denaro.

Conclusioni.

La condotta di chi trasferisca, attraverso bonifici predisposti in favore di società estere dedite al cambio di valuta corrente in valuta elettronica, somme di denaro di provenienza illecita nel circuito economico finanziario, anche tramite bitcoin, integra compiutamente il delitto di autoriciclaggio. 


[1] L’attività di cambio valuta ha carattere finanziario ed è regolata dalla legge. In particolare l’art. 155, co.5 d.lgs. “Testo Unico delle Leggi in materia Bancaria e creditizia, stabilisce che i soggetti che esercitano l’attività di cambiavalute, sono iscritti in una sezione ad hoc dell’elenco previsto dall’art. 106 co. T.U.B.)



Credits:
Avv. Giuseppe Taddeo
Associate
Attorney 231/2001 Compliance