Le responsabilità penali del datore di lavoro nelle R.S.A.



ABSTRACT

Approfondiamo i profili di responsabilità penale in capo ai vertici delle R.S.A. in relazione all’emergenza Covid-19. Profili che, come si vedrà, potrebbero riferirsi tanto alla responsabilità datoriale nei confronti dei dipendenti, quanto nei confronti delle persone degenti presso le strutture.

Qualche nota anche sulle cautele da adottare in caso di soggetti privi di sintomi ma non certificati come immuni.



1. Introduzione

Un contributo che voglia analizzare i possibili profili di responsabilità di una R.S.A. (per chiarezza, residenza socio assistenziale) deve premettere il quadro normativo di riferimento con particolare attenzione al rapporto tra la struttura R.S.A. ed i soggetti degenti.

In proposito è agevole considerare il contratto di spedalità, fattispecie atipica, ma ormai nota agli operatori del diritto[1] che ricorre ogni volta in cui vi sia la “presa in carico” dei pazienti da parte di una struttura sanitaria.

La c.d. “presa in carico” determina la stipula del contratto tra le parti e la conseguente instaurazione di diversi obblighi in capo alla struttura che non sono circoscritti agli aspetti sanitari ma si estendono a tutte quelle attività di natura “alberghiera” (posti letto, fornitura di alimenti, tutela ed assistenza contro eventuali infezioni ospedaliere ecc.).

Esaurita questa breve premessa, è d’uopo focalizzarsi sul tema degli obblighi di protezione della R.S.A. nei confronti dei pazienti assistiti e dei dipendenti.

2. L’emergenza  Covid-19

Venendo all’emergenza sanitaria in corso, è nota l’ampia rassegna di notizie sui casi di contagio avvenuti all’interno delle R.S.A.: sotto la lente della stampa e delle prime indagini preliminari da parte della Procura competente è finita una determinazione della Regione Lombardia.[2] che ha individuato queste strutture per ospitare alcuni malati di Covid-19 che non versassero in una situazione critica.

Il coronavirus è chiaramente un rischio che va gestito in generale e nelle specifiche realtà che svolgono attività equiparabile a quella sanitaria come le R.S.A..

In proposito, una prima indicazione su come procedere all’“analisi del rischio” è stata predisposta dall’I.N.A.I.L. con un documento del 21 aprile scorso. Il predetto documento costituisce un approccio verso la gestione del rischio di contagio con il proposito di adottare le migliori cautele anche al fine di prevenire eventuali addebiti verso i vertici delle R.S.A.[3].

Il predetto documento dell’I.N.A.I.L. ha individuato per le attività di carattere sanitario-assistenziale un profilo di rischio alto, il che trova una ragionevole spiegazione nel tipo di attività svolta, anche in considerazione degli ospiti delle R.S.A., che sono molto spesso anziani e con pregresse patologie. 

3. I profili di responsabilità

Puntualizzate le premesse di cui sopra, le R.S.A. ed i vertici chiamati a dirigerle potrebbero incorrere in due profili di responsabilità.

Il primo è quello della responsabilità datoriale per i possibili danni arrecati al personale dipendente, tanto quello impegnato in mansioni attinenti all’attività sanitaria quanto quello operativo in attività ausiliarie (si pensi agli amministrativi ecc.).

Il profilo di cui sopra discende, come noto, dalla posizione di garanzia attribuita al datore di lavoro dall’ordinamento e, più specificamente, dalla norma dell’art. 2087 c.c. e dal Testo Unico Sicurezza – D.Lgs. 81/2008 (artt. 2,18, 299).

E’ dovere del datore di lavoro approntare tutte le misure di sicurezza e di prevenzione del rischio che consentano di eliminare o ridurre al minimo i pericoli presenti sul luogo di lavoro.

Venendo ai possibili profili di responsabilità penale le ipotesi delittuose rilevanti potrebbero essere ascritte agli artt. 589 e 590 c.p. rispettivamente incriminanti il delitto di omicidio colposo e di lesioni personali colpose.

Trattandosi di fattispecie colpose, il passo successivo sarebbe poi quello di individuare la o le regole cautelari la cui violazione potrebbe determinare la sussistenza del predetto elemento soggettivo e quindi la piena ricorrenza della responsabilità penale.

I presupposti per l’imputazione colposa sono individuati nelle violazioni del D.lgs. n. 81 del 2008. Attualmente stante l’emergenza sanitaria correlata al Covid-19 la responsabilità del Datore di Lavoro è ravvisabile anche qualora lo stesso non osservi le procedure adottate ad hoc dalle competenti autorità sanitarie per tutelare i lavoratori del relativo comparto.

Un esempio di violazione delle disposizioni sopra menzionate potrebbe essere il mancato aggiornamento del D.V.R. che, in un ambito sanitario-assistenziale, è obbligatorio. In secondo luogo c’è l’aspetto più spinoso della mancata fornitura dei D.P.I. necessari per la mansione svolta dal personale esposto al rischio di contagio[4].

Come si diceva, le R.S.A. potrebbero incorrere in un secondo profilo di responsabilità, inerente ai degenti presso le proprie strutture.Questo secondo profilo potrebbe riguardare la “mala gestio” dei pazienti normalmente assistiti dalle R.S.A., nonché di tutti gli ulteriori pazienti ricoverati durante l’emergenza del Covid-19.

Se per i primi pazienti potrebbe essere sufficiente attenersi al quadro normativo e disciplinare (anche inclusivo di linee guida o indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della Salute o in altre fonti regolamentari adottate dalle aziende sanitarie, tutte predisposte sulla base di conoscenze scientifiche consolidate[5]) normalmente vigente, qualche criticità in più sorge per quei soggetti ricoverati e ricoverandi nelle R.S.A. a causa del Covid-19.

Focalizzando l’attenzione su questo secondo gruppo di soggetti occorre distinguere tra quelli che siano positivi al Covid-19, poiché riscontrato dal tampone o perché sintomatici, e gli altri che, invece, non presentano alcun sintomo e non abbiano, però, ricevuto la certificazione di avvenuta negativizzazione (mediante esecuzione di due tamponi entrambi negativi)[6]o il certificato di immunità.

E’ bene, quindi, che anche per questi soggetti asintomatici siano adottate le cautele normalmente consigliabili per coloro che presentano i sintomi della malattia o che abbiano avuto un tampone con esito positivo.

Per i ricoveri occorsi a causa dell’emergenza sanitaria è, comunque, più complesso individuare la regola cautelare o il sistema di regole di protezione la cui violazione determinerebbe la ricorrenza di fattispecie colpose, anche alla luce dell’imprevedibilità dell’epidemia e della scarsità di informazioni consolidate sul Sars-2-Covid.

In mancanza di un dato normativo sufficientemente preciso, si dovrà ricorrere al canone più generico della negligenza che normalmente determina un profilo di colpa generica.

La vicenda in esame, peraltro, è resa più complessa anche dalle prime ipotesi delittuose avanzate dai magistrati inquirenti, sia pure nella fase embrionale delle indagini preliminari.

Stando a quanto si apprende dalle fonti pubbliche[7], le prime ipotesi accusatorie sono riferite anche al delitto di epidemia colposa di cui agli artt. 438 e 452 c.p. oltre che alla fattispecie di omicidio colposo.Sull’ipotesi delittuosa dell’epidemia non sono mancati i primi commenti che hanno messo in luce la difficile configurabilità della fattispecie in forma omissiva[8]: il reato, infatti, è una fattispecie a forma vincolata, poiché la diffusione dell’epidemia è penalmente rilevante solo quando avvenga mediante la condotta individuata dal legislatore della “diffusione di germi patogeni[9].

Ed il tema probatorio pare passare proprio per questa condotta vincolata: la diffusione del nuovo coronavirus. È la Procura che dovrebbe ottenere prova di una condotta, da parte dei vertici delle R.S.A., che abbia effettivamente procurato un numero di contagi sufficiente per integrare quell’efficacia diffusiva richiesta dal reato di epidemia, e sempre che la condotta che sia riconducibile alla “diffusione”.

Sembra difficile, allo stato, ipotizzare un’esegesi giurisprudenziale difforme da quella diffusasi in relazione all’HIV, che renderebbe difficile la sussistenza dei presupposti della responsabilità penale per il delitto di epidemia colposa nel caso di specie.

Credits:
Avv. Riccardo Dimiziani
Associate
231/2001 Compliance


[1] Sul punto, è d’obbligo il richiamo alla sentenza che ha risolto il contrasto presente in giurisprudenza ovverosia la Cass.ne Civile S.U. n. 577 del 11 gennaio 2008 sancendo il contenuto essenziale del contratto di spedalità.

[2] Delibera di Regione Lombardia n. XI/2906, 8 marzo 2020

[3] Analisi del rischio che prende le mosse da tre fattori: esposizione, prossimità ed aggregazione. Per ognuno di questi indicatori il documento prevede una “scala di rischio” a seconda della natura dell’attività merceologica svolta. Il rischio complessivo del singolo settore merceologico è determinato dai tre indicatori sopra menzionati. Nello specifico le attività che rientrano nel settore della “Sanità e assistenza sociale” individuato secondo il criterio dei Codici Ateco, è stato individuato come un settore a rischio alto e medio-alto.

[4] In proposito, purtroppo, dovranno essere considerate le gravi difficoltà nel reperire ogni tipo di D.P.I., come mascherine, gel igienizzante ecc.;

[5] Sul punto si consideri il contributo di Rocco Urso, Pierangelo Chinello, Silvia Mosti e Leonardo Grimaldi dal titolo “Aspetti medico-legali delle infezioni da germi antibiotico-resistenti alla luce della Legge n. 24 del 08 marzo 2017” in Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in Campo Sanitario) fasc. 3, 1 giugno 2018, pag. 891 e ss. Si noti, in particolare, il paragrafo 3 ove si parla degli “Aspetti normativi e gestionali per il controllo e la prevenzione delle infezioni da MDRO”;

[6] Per quello che si può apprendere sino ad ora sarebbero oggetto di approfondimento quei pazienti “trasferiti” in altre strutture pur in assenza della certificazione di avvenuta negativizzazione, si legga: https://www.lastampa.it/cronaca/2020/04/24/news/lombardia-morti-sospette-nelle-case-di-riposo-perqui...;

[7] Si leggano: l’articolo del Sole 24 Ore https://www.ilsole24ore.com/art/l-inchiesta-trivulzio-si-allarga-ad-altre-rsa-ecco-cosa-indagano-inquirenti-ADFTX9J, e quello di Open Online https://www.open.online/2020/04/21/coronavirus-si-allarga-linchiesta-sulle-rsa-perquisizioni-della-g...;

[8] Il principio è stato di recente affermato dalla Suprema Corte di Cassazione Penale Sez. IV con la sentenza n. 9133 del 12 dicembre 2017. Per i commenti si vedano Marianna Panattoni “La responsabilità penale dell’operatore sanitario per il reato di epidemia colposa” e Matteo Grimaldi “Covid-19: la tutela penale del contagio” entrambi in Giurisprudenza Penale II trimestre del 2020;

[9] La norma, peraltro, prevede un reato d’evento che, per la sua consumazione, richiede un’ampia diffusività della patologia riscontrata non essendo sufficiente un numero ristretto di contagi in un periodo relativamente ampio; sul punto si legga quanto affermato nel caso dell’HIV dalla Suprema Corte di Cassazione Penale Sez. I con la sentenza n. 48014 del 26.11.2019.