LE RSA: Definizione, inquadramento normativo e natura giuridica

Credits: AVV. GIUSEPPE MANGIAMELI

ABSTRACT

Le RSA sono state introdotte sul finire degli anni ’90 per fornire assistenza extra ospedaliera ai soggetti non autosufficienti ai quali offrono servizi ospedalieri, riabilitativi ed alberghieri. Sono strutture proprie del sistema sanitario nazionale extra ospedaliero, la cui attività è disciplinata dalla legislazione regionale che può prevedere che la gestione delle RSA sia affidata ad organismi pubblici, privati o misti, disciplinandone in ogni caso le modalità di controllo della qualità delle prestazioni e del servizio reso.



I recenti fatti di cronaca dovuti all’emergenza Covid-19 hanno portato all’attenzione del cittadino le Residenze Sanitarie Assistenziali (c.d. RSA), la cui organizzazione e natura giuridica non è di immediata lettura a causa di una (eccessiva) frammentarietà delle norme e dei suoi risvolti applicativi.

A tal fine, è utile ripercorrere le tappe evolutive principali per fornire al lettore gli strumenti per comprendere quali possono essere i profili di responsabilità e, soprattutto, a quali soggetti addebitarli. Questo primo intervento concerne, in particolare, l’origine e l’inquadramento normativo del fenomeno.

Le Residenze Sanitarie Assistenziali vengono introdotte in Italia nei primi anni ’90 nell’ambito di un piano pluriennale per gli investimenti sanitari avviato con la legge finanziaria del 1988 (L. 67/1988 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) e rinnovato, da ultimo, con la L. 160/2019.[1]

Lo scopo dell’intervento normativo si basava fondamentalmente su due elementi: da un lato la constatazione dell’aumento degli anziani nella popolazione italiana (che secondo i dati e le previsioni ISTAT di quegli anni avrebbe portato entro il 2030 ad una quota di ultrasettantenni circa del 27% della popolazione)[2] e, conseguentemente, dalla sentita esigenza di fornire assistenza extra-domicilio a tutti quei soggetti non più autosufficienti che non trovavano all’interno delle mura domestiche adeguata assistenza, vuoi per gli aspetti prettamente medico-specialistici, vuoi per quelli infermieristici, nonché riabilitativi.

Pertanto, attraverso il Servizio Sanitario Nazionale lo Stato si è impegnato a garantire alle persone non autosufficienti, affette da malattie croniche o in condizioni di fragilità e che non avevano la possibilità di curarsi a domicilio, l’opportunità di essere ospitate in strutture residenziali extra ospedaliere che potessero offrire loro tutta l’assistenza necessaria.

Nell’Ordinamento non figura un’universale definizione, ma, con i vari provvedimenti che si sono susseguiti negli anni, ne sono state sviluppate di diverse in ragione delle differenze territoriali e tenuto conto di alcuni fattori costanti e che identificano, di fatto, in che cosa consistano le RSA: in particolare i destinatari e la finalità.

Una prima definizione di RSA la si rinviene nella citata L. 67/1988 e nel successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministro ministri (DPCM 22.12.89) secondo i quali le RSA sono “strutture per anziani e soggetti non au­tosufficienti non assistibili a domicilio e richie­denti trattamenti continui, finalizzata a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie, assistenzia­li e di recupero funzionale e sociale.”

Attraverso il DM 321/89, poi, tale definizione è stata ampliata attraverso la specificazione della sua natura integrata, funzionale ed organica rispetto a servizi sanitari e socio sanitari.

Negli anni successivi ulteriori provvedimenti hanno definito e precisato i requisiti di natura strutturale, tecnologica e minima per l’esercizio, da parte di strutture private e pubblico, dell’attività sanitaria.

Giova evidenziare che la materia della organizzazione dei servizi sanitari residenziali extra-ospedalieri rientra nelle competenze regionali, per cui la gran parte degli atti nazionali costituiscono sono indicazioni per le Regioni che vengono emanate allo scopo di garantire un uniforme livello di assistenza su tutto il territorio nazionale e, cioè, nella sostanza si tratta di atti-quadro che le Regioni devono formalmente recepire per renderle efficaci al fine di dare loro efficacia. Ciò ha comportato che ogni Regione scegliesse una definizione diversa in relazione alla diversa attuazione concreta e locale dei piani nazionali come, ad esempio, la scelta se ospitare o meno anche soggetti autosufficienti, ovvero se optare per un limite di età.

Come anticipato, nella definizione rientrano anche l’obiettivo assistenziale e le funzioni operative per raggiungerlo (sempre tenendo conto delle differenze attuative regionali).

Proprio al fine di superare il problema legato alla frammentarietà dei livelli di assistenza ed al fine di stabilire quelli essenziali e minimi, nei primi anni duemila, con il DPCM 29 novembre 2001[3] è stato introdotto il LEA (Livelli Eessenziali di Aassistenza), cioè, l’insieme delle prestazioni e di servizi che il servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini (gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione.[4]).

Ad oggi, quindi, la definizione più completa è ancora quella prevista dal D.P.R. 14/01/1997 secondo cui, le RSA sono dei presidi che offrono a soggetti non autosufficienti, anziani e non, con esiti di patologie, fisiche, psichiche, sensoriali o miste, non curabili al domicilio, un livello medio di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa accompagnata da un livello alto di assistenza tutelare ed alberghiera modulato sulla base del modello assistenziale adottate dalle regioni e province autonome.

Sintetizzando le indicazioni normative, la RSA offre:

  • una sistemazione residenziale con un'impronta domestica, organizzata in modo da rispettare il bisogno individuale di riservatezza e di privacy;
  • tutti gli interventi medici, infermieristici e riabilitativi necessari a prevenire e curare le malattie croniche e le loro eventuali riacutizzazioni;
  • un’assistenza individualizzata, orientata alla tutela e al miglioramento dei livelli di autonomia, al mantenimento degli interessi personali e alla promozione del benessere.

La RSA realizza, pertanto, un livello alto di assistenza sanitaria (medica, infermieristica e riabilitativa) integrato da un secondo livello di assistenza tutelare ed alberghiera e garantisce interventi di natura sociosanitaria, temporanei o a tempo indeterminato, destinati a migliorare i livelli di autonomia degli ospiti, a prevenire e curare le malattie croniche e la loro riacutizzazione.

Dal punto di vista dell’organizzazione e del funzionamento, esistono diversi modelli di Rsa, variabili, come detto, in base alla Regione.

In via generale possono essere pubbliche o private, accreditate e non accreditate.

Le Regioni, anche sulla base di precise indicazioni del Ministero della Salute, possono prevedere, infatti, che la loro gestione sia affidata ad organismi pubblici, privati o misti, disciplinando le modalità di controllo della qualità delle prestazioni e del servizio reso. È la Regione, infatti, che esercita la vigilanza sulle RSA avvalendosi dei servizi delle unità sanitarie locali. territorialmente competenti.[5]

Ad esempio, è la Regione a definire il contenuto degli accordi contrattuali che dovranno essere stipulati tra Enti Gestori ed ASL ai fini del pagamento delle prestazioni erogate dalle strutture accreditate (anche rispetto alla ripartizione dei relativi oneri fra il settore sanitario e quello sociale)[6] rispetto del diritto di libera scelta del cittadino e del principio della parità tra soggetti erogatori pubblici e privati.[7]

Ne derivano una diversa natura giuridica, a seconda della forma giuridica sociale scelta e del tipo di procedura per ottenere la concessione al servizio sanitario, nonché del livello di assistenza reso e diverse forme di responsabilità.

Un interessante pronuncia della Corte dei Conti[8], nel decidere in merito alla configurabilità del danno erariale conseguente ad alcuni illeciti (anche di natura penale accertanti nella sede competente) per violazione di standard di personale medico e infermieristico previsti nella convenzione con l'ASL, ha proprio fondato la decisione sul presupposto della pertinenza pubblica dell’ente che erogava servizi assistenziali (una s.r.l.) in virtù della delibera di accreditamento della giunta regionale.

I requisiti organizzativi e strutturali propedeutici all’autorizzazione sono invece previsti dal D.M. 308/2001 e, come previsto all’art. 4, esso va integrato con i provvedimenti di natura regionale, nonché (art. 5) con le norme vigenti in materia urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza e l'applicazione dei contratti di lavoro e dei relativi accordi integrativi che ne diventano il presupposto.

Come accennato, per svolgere un servizio sociosanitario è necessaria, in primo luogo, l’autorizzazione regionale e, eventualmente l’accreditamento che viene riconosciuto da parte dell’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) competente per territorio previa verifica della compatibilità con la programmazione regionale e verifica del possesso di specifici requisiti di concerto con la Regione stessa e che impone specifiche garanzie sulla continuità assistenziale e sulla qualità dei servizi erogati e sulla gestione unitaria.

La finalità dell’accreditamento è quella di assicurare un elevato standard qualitativo dei servizi e delle strutture e regolare i rapporti tra committenti pubblici e soggetti che erogano i servizi. Ed è questo il fattore che, in eventuali profili di responsabilità di dirigenti ed operatori, rischia di incidere anche nella valutazione di ulteriori addebiti anche alla Regione stessa ovvero alle ATS o ASL, con la conseguenza che da soggetto controllore la Regione diverrebbe soggetto sottoposto anch’esso al controllo. [9].

In Lombardia, ad esempio, la procedura prevista dalla Delibera Regionale n. 2569/2014[10] prevede il soddisfacimento dei seguenti macro-requisiti:

  • requisiti generali soggettivi, organizzativi e gestionali, strutturali e tecnologici;
  • procedura per l’esercizio e l’accreditamento delle unità d’offerta sociosanitarie;
  • indicazioni operative alle ASL per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza e controllo sulle unità di offerta sociosanitarie;
  • indicazioni operative alle ASL per l’accertamento delle violazioni amministrative.

Tra i requisiti di natura organizzativa, particolare attenzione va riservata a quello previsto alla lettera f), punto 3.2.4 dell’allegato alla citata Delibera: Adozione adozione del modello organizzativo e del codice etico ai sensi del decreto legislativo 231/2001 .

Il soggetto gestore di unità d’offerta residenziali (con capacità ricettiva pari o superiore agli ottanta posti letto o di unità d’offerta che abbiano una capacità contrattuale complessiva in ambito sociosanitario pari o superiore a ottocentomila euro annui a carico del fondo sanitario regionale lombardo) è tenuto ad adeguarsi a quanto previsto dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231[11] adottando il relativo modello organizzativo e il codice etico. Inoltre, ai sensi dell’articolo 6 del citato decreto legislativo, provvede alla nomina dell’organismo di vigilanza dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo.

Ne deriva che, in caso di violazioni di natura penale che rientrino nel novero dei c.d. reati presupposto di cui al “Decreto 231”, se il reato è commesso dagli apicali, l’ente deve dimostrare di essersi attenuto agli obblighi ex art. 6 e, in particolare, di aver adottato il modello di organizzazione gestione e controllo. Di fatto, si tratta di una inversione dell’onere della prova, con una presunzione di responsabilità dell’ente.[12]. Nel caso, invece, di reati commessi da soggetti sottoposti all’altrui direzione è il Pubblico Ministero a dover dimostrare la colpa di organizzazione, cioè la violazione degli obblighi di direzione o vigilanza o l’inefficacia del modello organizzativo (art. 7).

È d’uopo ricordare che, anche per valutare le responsabilità individuali (quelle strettamente penali, per quanto qui d’interesse), si deve partire da quadro normativo sopra citato, ciò anche con riferimento, ad esempio, ai reati di lesioni colpose ovvero di omicidio colposo (sia nei confronti di pazienti, sia rispetto ai lavoratori.

In particolare, nulla quaestio sulla responsabilità penale del datore di lavoro/rappresentante legale della RSA (o anche, in concorso di altri soggetti dell’organo gestorio ove presente) sul quale incombe il dovere di garantire la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché il dovere di non commettere alcuno dei reati contro la persona, siano essi di natura commissiva o di natura omissiva. Ma contestualmente ben potrebbero verificarsi anche altre fattispecie legate, ad esempio, al rapporto strettissimo che tali enti hanno con la Pubblica Amministrazione (si pensi al reato di abuso d’ufficio nell’ambito di forniture, strumentazioni, assunzioni e nomine).

Inoltre, in virtù dello strettissimo rapporto tra la Regione ed il gestore del servizio sociosanitario, pare astrattamente configurabile anche la responsabilità stessa della Regione, quantomeno in forma omissiva ai sensi dell’art. 40 c.p. Sul punto andrà valutata la posizione di garanzia che, per la Regione, potrebbe derivare dagli obblighi di protezione che la stessa Regione si assume (con finalità, appunto, contenitiva e protettiva di determinati fattori di rischio interni alle RSA).

E proprio queste tematiche, ossia le responsabilità penali e quelle ex d. Lgs. 231/2001, saranno oggetto di approfondimenti nella sezione “Osservatorio” del sito web dello Studio Legale Sardella.

Credits: 

AVV. GIUSEPPE MANGIAMELI

Associate
Attorney Criminal Law




[1] Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022.

[2] Pesaresi F., Le RSA nelle Regioni italiane: tipologia e dimensioni, ASI n. 1 – 7/14 gennaio 1999.

[3] Sostituito con il DPCM 12 gennaio 2017 che ha introdotto nuovi livelli essenziali di assistenza.

[4] Organismo sottoposto al controllo del Comitato LEA: Comitato Permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, cui è affidato il compito di verificare l’erogazione dei LEA in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse, nonché la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale.

[5] Ad esempio, DGR Lombardia, 2569/2014, art. 2.8. Sospensione o revoca dell’abilitazione all’esercizio: Fatte salve le responsabilità di natura civile e penale, nonché le sanzioni dovute al mancato rispetto di altre normative regionali o nazionali, le unità d’offerta sociosanitarie incorrono nella sospensione o revoca dell’autorizzazione o abilitazione all’esercizio, quando l’attività sia esercitata in mancanza dei requisiti minimi, previa diffida da parte della ASL ad adempiere alle prescrizioni per il ripristino dei requisiti entro un congruo termine non inferiore a trenta giorni.

[6]Gli oneri relativi alla tariffa sono ripartiti, come è noto, fra l’ASL per la quota sanitaria e l’utente per la quota sociale/alberghiera. Generalmente si utilizza la tariffa per giornata di degenza che prevede una tariffa uguale per tutti indipendentemente dalle condizioni e dalle necessità assistenziali del paziente che non tiene conto delle diverse esigenze assistenziali dei pazienti.

[7] Tali indicazioni erano già presenti nelle linee Guida firmate il 31 maggio del 1991 dal Ministro della sani­tà e le Federazioni nazionali dei pensionati CGIL, CISL, UIL., “Schema di linee guida per le residenze sanitarie assistenziali (RSA) per anziani.”

[8] Corte Conti, (Veneto) sez. reg. giurisd., 10/07/2017, n.77

[9] tema non casuale in considerazione delle inchieste che al momento sono al vaglio della Procura di Milano in relazione, anche all’ormai nota delibera di Regione Lombardia n. XI/2906, 8 marzo 2020 con la quale si chiedeva alle ATS, di individuare nelle case di riposo dedicate agli anziani strutture autonome per assistere pazienti Covid 19 a bassa intensità.

[10] ai sensi degli articoli 15 e 16 della Legge Regionale 12 marzo 2008, n. 3, Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario e dell’articolo 9 della Legge Regionale 30 dicembre 2009, n. 33, Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità.

[11]Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.

[12] La ratio: risiede nel principio di immedesimazione tra soggetti in posizione di vertice ed ente, i quali ne sono la diretta manifestazione di volontà. Pertanto, la loro volontà (dolosa o colposa) coinciderebbe con la volontà dell’ente stesso.