L’ente è responsabile ex d. Lgs 231/2001 in caso di infortunio conseguente a mancata formazione, anche in caso di condotta imprudente del lavoratore.

Credits Avv. Fabrizio Sardella ; Dott.ssa Francesca Lanzetti 

Abstract: La Corte di Cassazione, con sentenza n. 34936/2022, è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità dell’ente in caso di lesioni colpose del lavoratore subordinato per mancata formazione, con vantaggio conseguito dall’ente stesso, affermando la responsabilità ex d. lgs. 231/2001 anche “in costanza della imprudente condotta del lavoratore”.



La vicenda trae origine dal procedimento atto ad accertare la responsabilità penale del rappresentante legale, nonché datore di lavoro, in carica presso la Società, per aver cagionato con colpa lesioni personali al dipendete a seguito di un infortunio sul lavoro. Il procedimento penale è stato conseguentemente esteso anche a carico dell’Ente, al fine di verificare la sussistenza dei requisiti per l’affermazione della responsabilità ex D.lgs. 231/01, in relazione alla commissione illecito amministrativo di cui all’art. 25 septies del Decreto citato.

La Corte di Appello di Genova sosteneva che il lavoratore, assunto con qualifica di preposto, non avesse ricevuto adeguata formazione al fine di svolgere in piena sicurezza l’attività di impilamento di blocchi di marmo. Di più, portava a rilevo l’assenza di adeguate procedure e delle cautele necessarie, che non venivano evidenziate nel Documento di Valutazione dei Rischi. Inoltre, sottolineava la Corte come tale scelta fosse riconducibile ad una precisa scelta del datore di lavoro, operata nell’interesse dell’ente e finalizzata a conseguire un risparmio di spesa. Sul punto, i difensori dell’Ente proponevano ricorso avanti alla Corte di Cassazione, eccependo che il lavoratore coinvolto nell’infortunio fosse invero molto esperto e adeguatamente formato, e che le lesioni occorsegli fossero da reputarsi quale esclusiva conseguenza dalla condotta “irrituale e abnorme” del medesimo.

Nondimeno, evidenziava il ricorrente che l’Ente non avrebbe conseguito nessun risparmio di spesa, in quanto l’incidente sarebbe stato causato da una sottovalutazione del rischio a livello individuale, non anche da una precisa impostazione organizzativa aziendale volta ad ottenere un significativo vantaggio in termini di costi in ambito sicurezza.

Gli Ermellini, in principio, ribadiscono che il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare tutti i fattori di rischio e di pericolo presenti. Tale attività permette di redigere, e quindi aggiornare, il documento di valutazione dei rischi previsto dal D.Lgs. 81/08 nel quale vengono altresì indicate le necessarie misure precauzionali da attuare. Infatti da tale dovere deriva il conseguente obbligo per il datore di lavoro, ma anche per i suoi delegati, di sottoporre il personale ad adeguate informazione e formazione. Nel caso di inadempimento di tali prescrizioni, lo stesso risponde a titolo di colpa specifica dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore, essendo, questo, conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi.

A ciò la Corte aggiunge che, sotto il profilo causale, vale il principio secondo cui va esclusa l’interruzione del rapporto di causalità, in costanza della imprudente condotta del lavoratore quando, come nella specie, il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità”.

Infine, la Suprema Corte sottolinea come, nel caso in esame, le lacune accertate non fossero occasionali[1], bensì attenessero a snodi fondamentali della gestione aziendale. Le mancanze vertevano sulla formazione del personale, sulle corrette pratiche lavorative e sui conseguenti rischi correlati. Tali indici permettono quindi di individuare una “triplice componente del vantaggio economico conseguito in termini di risparmio di spesa (costi per la formazione, predisposizione del DVR, impiego di manodopera per i controlli) e, al contempo ravvisando la prospettiva di una maggiore produttività nelle lavorazioni, con riduzione dei tempi di lavoro (procedure più snelle, meno controlli, ridotta formazione)”.

A fronte di ciò il ricorso è stato rigettato, con conferma della sentenza di condanna, sottolineando come la proiezione finalistica dell’ente, sia in termini di vantaggio o interesse, fosse improntato al “risparmio di spesa rispetto agli oneri che la società si sarebbe dovuta accollare per una corretta predisposizione delle cautele atte a salvaguardare i lavoratori, nonché del risparmio di spesa derivante dalla maggior velocità con cui le operazioni descritte nel capo di accusa sono state condotte”.



[1]

La difesa sottolineava, citando giurisprudenza di legittimità, come l’inosservanza delle regole cautelari era occasionale e il vantaggio derivante totalmente trascurabile. In tali casi la prova della prevalenza delle esigenze di produzione e del profitto deve essere molto più rigorosa.


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Avv. Fabrizio Sardella ; Dott.ssa Francesca Lanzetti