L'individuazione del datore di lavoro al vaglio della Corte di Cassazione: principi ed inquadramento

Credits: Dott.ssa Francesca Lanzetti


Abstract: 

La Corte di Cassazione con sentenza n. 16562/2021 si è espressa sulla responsabilità penale di un imputato, nella sua qualità di legale rappresentante, di direttore di uno stabilimento e di responsabile del servizio di prevenzione e protezione della stessa società, accusato di omicidio colposo per colpa generica e specifica derivante dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni, per aver cagionato la morte di un operaio.



La Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza di condanna, alla pena di anni uno di reclusione, definita dal giudice di primo grado.

L’imputato ricorre quindi in Cassazione, lamentando l’erronea applicazione della legge in riferimento alla qualifica di datore di lavoro attribuita nei precedenti gradi di giudizio, asserendo che la qualifica di Datore di Lavoro non si evince dalla delibera del Consiglio di Amministrazione, che attribuisce allo stesso solo compiti di ordinaria amministrazione.

La Corte di Appello aveva inoltre eccepito la mancanza di aggiornamento del DVR la quale però, secondo il ricorrente, non sarebbe spettata a sé stesso non avendo appunto la qualifica di datore di lavoro.

Infine, è stata sollevata la mancanza di formazione nei confronti dell’operaio deceduto, la quale sarebbe stata di competenza del dirigente per la sicurezza.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che l’imputato ricopriva sia la qualifica di rappresentante legale ma anche quella di datore di lavoro in quanto gli era stato riconosciuto l’esercizio dei poteri decisionali e di spesa in tema di sicurezza. Ma non solo, lo stesso ricopriva la carica di amministratore delegato e di direttore di stabilimento. Pertanto, in virtù di queste attribuzioni, “l’imputato ha avuto l’esercizio di potestà funzionali organizzative, decisionali, gestionali e di spesa inclusa la realizzazione delle misure di sicurezza previste per legge.”  

Ma non solo, "le misure mancanti sul piano della sicurezza non richiedevano comunque alcuno straordinario impegno di spesa, ma rientravano nel normale esercizio dei doveri e poteri organizzativi, formativi e di ordinaria vigilanza.”

La Suprema Corte ha poi sottolineato come alla qualifica di datore di lavoro si sia aggiunta quella di RSPP, generando così una serie di obblighi in materia di valutazione di rischio, posizione di garanzia e adempimenti datoriali ancora più stringenti.  

Più precisamente, la Corte afferma che:

“sebbene la qualità di datore di lavoro e quella di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in relazione alle dimensioni dell'azienda, avrebbe dovuto risiedere in capo a soggetti diversi, aver unificato entrambe le funzioni, per scelta dello stesso datore di lavoro, contribuisce da un lato a recare confusione nell'ambito dei ruoli decisionali e consultivi nella gerarchia della organizzazione e gestione della sicurezza del lavoro, e dall'altro a concentrare in capo al medesimo soggetto tutti gli oneri esecutivi, elaborativi e decisionali in materia di valutazione, gestione, organizzazione del rischio e di esercizio dei poteri decisionali e di spesa che caratterizzano la figura del datore di lavoro.”

Da questo sopra affermato si deduce che il ruolo consultivo e interlocutorio del RSPP deve essere funzionalmente distinto da qualsiasi ruolo decisionale, in modo particolare dal ruolo di datore di lavoro, in quanto altrimenti ci sarebbe una pericolosa sovrapposizione di  posizioni e funzioni con compiti diversi. Da questa confusione di ruoli deriverebbe, secondo la Suprema Corte, un colposo difetto di organizzazione in capo al datore di lavoro.

Una delle argomentazioni più rilevanti nella sentenza in discussione, è che per essere considerati datori di lavoro, è totalmente irrilevante l’inquadramento mansionale sul piano retributivo, ciò che acquisisce rilevanza è “l’esercizio anche solo di fatto di poteri decisionali e di spesa, a prescindere dal titolo contrattuale che lo ha insediato in quel ruolo.

Da ciò deriverebbe anche che, in assenza di una delega espressa ed effettiva, non può paventarsi un ipotetico atto di trasferimento delle funzioni all’interno dell’azienda, tale da considerarsi come esimente. Nel caso di specie, infatti, il ricorrente dichiarava l’esistenza di una delega di funzioni a favore di un soggetto diverso.


Credits: Dott.ssa Francesca Lanzetti