L'interesse ed il vantaggio per l'ente nelle contestazioni ex D.Lgs 231/2001 alla luce di un recente arresto della Corte di Cassazione


ABSTRACT

Commento a sentenza della Corte di Cassazione in tema di responsabilità degli enti ex D.lgs 231/2001contestata la genericità del capo di imputazione nel procedimento a carico dell’entedeterminatezza dell’imputazione come presupposto di un pieno esercizio del diritto di difesa – applicabilità di norme del codice di rito anche al processo contro l’ente ex D.lgs 231/2001 -affermazione del principio secondo il quale anche nel processo a carico della società la contestazione dell’illecito deve specificare quale sia l’interesse ed il vantaggio conseguito dall’ente in conseguenza del commesso reato.



Con una recente sentenza (Cass. Pen., Sez. V, 29 settembre 2020 – dep. 4 novembre, n. 30753) la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di responsabilità degli enti ex D.lgs 231/2001 affermando che nel processo contro le società la contestazione deve essere adeguatamente specificata e in difetto se ne può contestare la genericità.

In particolare nel procedimento cui si riferisce la sentenza della Suprema Corte si discute della sufficiente determinatezza di una imputazione formulata nei confronti di un ente collettivo in relazione al reato di accesso abusivo all’altrui sistema informatico (ex art. 24-bis del D.Lgs 231/2001) commesso da soggetti apicali della Società.

Tale questione è stata oggetto di una pronuncia giurisdizionale. Infatti il processo, giunto alla fase dibattimentale, aveva subito un arresto in quanto il Tribunale competente aveva dichiarato la nullità del decreto che disponeva il giudizio perché il capo di imputazione era stato ritenuto indeterminato e ne erano state indicate precisamente dal Tribunale le relative carenze.

Il processo regrediva quindi alla precedente fase dell’udienza preliminare, veniva riunito a quello di altri coimputati, ma i presunti vizi del capo di contestazione non erano stati risolti in quanto la nuova richiesta di rinvio a giudizio riproduceva esattamente la precedente, senza alcuna modifica, violando quanto disposto dal giudice del dibattimento. Parimenti, la contestazione dell’illecito all’ente restava invariata. Tuttavia l’eccezione di nullità proposta dalla difesa veniva respinta dal giudice dell’udienza preliminare.

Tale decreto di rinvio a giudizio veniva pertanto impugnato in Cassazione e tra i motivi di ricorso veniva ritenuto abnorme il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare.

Seppur i Giudici di Legittimità, nella sentenza in commento, abbiano respinto il proposto ricorso in quanto non era stato ritenuto abnorme il provvedimento del GUP, si sono affermati principi importanti in relazione al processo nei confronti dell’ente ai sensi del D.lgs 231/2001.

Il tema relativo tanto alla correttezza dell’imputazione, quanto alla sua formulazione, viene spesso all’attenzione della giurisprudenza.

Una formulazione dell’imputazione che sia precisa, corretta, determinata, completa oltre a rispondere a quanto richiesto dal nostro codice di rito all’art. 417 c.p.p., rappresenta il presupposto dell’esercizio del diritto di difesa.

E’ anche possibile, come sappiamo, modificare l’imputazione nel corso dell’udienza ai sensi dell’art. 423 c.p.p.; ciò non significa che il fatto di reato possa essere “modificato” senza alcun limite, ma solo che possa essere meglio precisato alla luce di alcuni elementi che prima non erano stati evidenziati.

Una imputazione correttamente formulata si impone anche in un processo nei confronti dell’ente ai sensi del D.lgs. 231/2001. L’art. 59, comma 2, del D.lgs 231/2001 dispone, infatti, che la contestazione deve contenere gli elementi identificativi dell’ente giuridico, l’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto che fonda la responsabilità, l’indicazione del reato presupposto e delle fonti di prova.

Riteniamo di condividere l’affermazione del dott. Ciro Santoriello, in commento a tale sentenza, che sostiene senz’altro applicabili nel processo all’ente ex D.lgs 231/2001 le disposizioni di cui agli artt. 516 e ss. c.p.p., nonché riconosciuta la titolarità in capo all’ente delle facoltà che le norme del codice di rito attribuiscono all’imputato (persona fisica), come la prestazione del consenso alla contestazione in caso di fatto nuovo risultante al dibattimento o la richiesta di un termine a difesa o di ammissione di nuove prove.

La sentenza in questione ha ribadito alcuni principi consolidati in tema di corretta modalità di formulazione dell’imputazione ed in ordine agli strumenti a disposizione per poter reagire a contestazioni generiche e non determinate del Pubblico Ministero, ribadendo quanto già affermato nella sentenza a Sezioni Unite Battistella (n. 5307/2007).

Il vero pregio di tale pronuncia è, in particolare, quello di aver esteso la portata di tali principi al processo contro le società.

Rispetto a quanto già più volte affermato dal Giudice di Legittimità, in tale decisione si indica chiaramente che nelle contestazioni mosse alla società in un processo ex D.lgs 231/2001 deve essere esattamente specificato in cosa sia consistito il vantaggio ottenuto dalla Società in conseguenza della commissione dell’illecito. L’interesse, valutato ex ante, ed il vantaggio conseguito ex post, sappiamo essere, insieme alla commissione del reato, elementi imprescindibili per un giudizio di colpevolezza dell’ente.

Tale pronuncia è poi in linea con alcune recenti sentenze[1] in tema di reati contro la salute e sicurezza dei lavoratori che cercano di porre fine ad una tendenza secondo la quale, con riferimento agli illeciti colposi addebitabili ad un soggetto che riveste la qualifica del datore di lavoro in una società, la persona giuridica sarebbe beneficiata dal reato ogni qualvolta e per il solo fatto che si sia in presenza di una mera ricaduta patrimoniale favorevole per l’ente.

La sentenza in commento, invece, mira ad affermare il principio secondo il quale l’Accusa debba precisare come esattamente il comportamento della singola persona abbia perseguito un interesse dell’ente e abbia comportato poi un vantaggio per la società medesima, senza alcun automatismo di sorta nell’affermare la sussistenza dell’interesse o vantaggio dell’ente ai sensi del D.lgs 231/2001.

Nel caso poi tale precisazione, in ordine alla contestazione, manchi, il giudice dovrà richiedere al Pubblico Ministero di integrare la medesima contestazione e, solo in caso di inerzia del P.M., potrà rinviare allo stesso gli atti dichiarando la nullità dell’esercizio dell’azione penale.

Credits:
Avv. Eleonora Pradal
Senior Associate
Lead Attorney 231/2001 Compliance

[1] Corte Cass., Sez. IV n. 16713/2019; Corte Cass. IV n. 43656/2019; Corte Cass., Sez IV N. 16598/2019.