Raddoppio dei termini per l'accertamento tributario nell'ipotesi di sussistenza (solo) astratta del reato

Credits: Avv. Fabrizio Sardella, Dott.ssa Francesca Lanzetti

ABSTRACT
La Sesta sezione Civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 2106/22, affronta il tema del raddoppio dei termini per l’accertamento tributario, nel caso di possibile sussistenza di un reato.


Il caso oggetto di disamina risale al periodo di imposta 2001 – 2009, ovvero anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 128 del 5 agosto 2015 e alla L. n. 208 del 31 dicembre 2015.

Con l’occasione, la Corte ribadisce che il raddoppio del termine di 5 anni è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, con conseguente obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. e non richiede il suo accertamento in concreto. 

La Suprema Corte sottolinea, concordando con quanto enunciato dalla Corte Costituzionale[1], che “il raddoppio opera in presenza di un presupposto astratto, indipendente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo.” Al contempo, gli Ermellini delimitano il campo di azione dell’Amministrazione Finanziaria affermando che è doveroso evitare “un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.” Pertanto, il contribuente che voglia contestare l’accertamento operato dopo il termine di 5 anni, dovrà individuare le lacune nei presupposti subordinati all’obbligo di denuncia e non potrà “mettere in discussione la sussistenza del reato, né sotto il profilo dell’elemento oggettivo, né sotto quello dell’elemento soggettivo, né infine dal punto di vista del suo autore.” A tal fine, è necessario un vaglio “ora per allora” da parte della Commissione tributaria, che deve ravvisare una sorta di fumus dell’esistenza di un reato perseguibile d’ufficio. Anche se non perseguito.

Per quanto sia difficile conciliare l’affermazione con i canoni fondamentali del diritto e della procedura penale, il principio era già stato affermato in passato. Quello che legittima il maggior termine è un reato ravvisabile dai fatti, in astratto, secondo l’Amministrazione finanziaria; pur se la fattispecie non ha determinato la doverosa azione penale.

Nel caso di specie, la contribuente evidenziava come nei suoi confronti non fosse mai stata sollevata alcuna contestazione penale. Ciò non è stato ritenuto sufficiente e, quindi, la S.C. ha rinviato la sentenza alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna.

È opportuno ribadire che l’Amministrazione Finanziaria possa avvalersi del maggior termine di contestazione, più ampio di quello ordinario, solo laddove il periodo d’imposta sia anteriore al 2016 e qualora sussistano violazioni tributarie penalmente rilevanti. La legge intervenuta nel 2015, infatti, ha aperto a un doppio binario in quanto:

-         da un lato ha eliminato la distinzione tra il termine ordinario e il termine raddoppiato, per ciò che concerne i periodi d’imposta dal 2016;

-         dall’altro, invece, ha introdotto un regime transitorio per gli accertamenti relativi alle annualità 2015 e precedenti.

La sentenza è consultabile a questo link.

[1] Con Sentenza n. 247 del 2011


Avv. Fabrizio Sardella
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Criminal Law 231/2001 Compliance
Dott.ssa Francesca Lanzetti
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